L’ho appena visto presentare col sorriso tra complice e malizioso che gli conosciamo da sempre l’andata in scena, sul palco del Globe a Villa Borghese, dei Due gentiluomini di Verona. L’opera giovanile di Shakespeare di cui non ha curato la regia né tantomeno lo annovera tra gli interpreti ma che deve a lui, inimitabile sommelier, il privilegio di vivere sera per sera in questa afosissima estate romana. Ed eccolo già prepararsi, col cuore in gola, come uno studente alla vigilia della laurea, al più ambizioso dei traguardi. Quando a Verona, domani, riceverà al Teatro Romano il Premio Renato Simoni, il più ambizioso riconoscimento alla carriera che esista nel teatro italiano.
Ma è davvero commosso Gigi Proietti? Oppure recita da eterno ragazzo il ruolo di chi è sorpreso dagli eventi?
«Mentirei per la gola se dicessi di no. Perché questo premio è un attestato più che al merito alla tenacia di uno come me che continua ancor oggi a non risparmiarsi mai. E che mai e poi mai rinuncerà a mettersi in gioco nell’équipe colorata e stracciona, nella squadra di eletti e diseredati, insomma in quel fantastico carosello d’arte e mestieri che si chiama palcoscenico».
A proposito di teatro, in che ruolo la vedremo presto alle prese con le vecchie tavole del teatro?
«Sa che non lo so ancora?».
Come mai?
«Di certo riprenderò Di nuovo, buonasera che tanto successo ha riscosso la scorsa stagione. Per il resto ci sto pensando. Non le nascondo che mi piacerebbe rimetter mano in Sardou, in Feydeau, magari nel compianto e spiritosissimo Sacha Guitry per ridare aria a quelle irresistibili boutade di fine Ottocento con lo spirito scanzonato e irriverente che ancor oggi mi ritrovo. E credo ormai non mi abbandonerà più».
Per fortuna sua e nostra. Ma ho sentito parlare di nuovi impegni con la tv. Sbaglio?
«Non sbaglia affatto. Ci ha azzeccato in pieno. Tanto è vero che a fine settembre su Raiuno mi vedrete addirittura nei panni di un uomo di Dio…».
Guarda guarda, di chi si tratta?
«Di un santo come San Filippo Neri, un personaggio straordinario, tutto da scoprire. Più simile a Socrate che a un dottore della Chiesa».
Può spiegarsi meglio?
«San Filippo viveva in gioia e in letizia l’insanabile dissidio tra l’assoluto desiderio di sprofondare nella meditazione e nella preghiera e il bisogno prepotente di dedicarsi agli umili, ai malati, a chi era rimasto senza amici e senza risorse. Che non sono solo gli anziani, ma anche i ragazzi, i giovanissimi della scuola dell’obbligo. Tanto è vero che si deve a lui la creazione del primo oratorio».
Ma ho sentito dire che presto l’attende un altro impegno sul piccolo schermo…
«Già. Stavolta sarà una miniserie su un personaggio d’invenzione, diametralmente opposto all’ascetismo di Filippo. Fin dal titolo provvisorio Il signore della truffa che esplorerà con un cinismo al limite del sorriso, se non addirittura della complicità, il carattere di un uomo che, arricchitosi grazie a illeciti che fan tremare i polsi, alla fine si porrà come obiettivo di aiutare le vittime delle proprie e altrui malversazioni».
Come due facce della stessa medaglia. Non le pare di esagerare?
«E perché? L’attore, di per sé, non è un personaggio calato una volta per tutte in un ruolo. Ma un jolly eclettico e stralunato come il simbolo di una carta da gioco».
Mi ha convinto. Ma mi tolga una curiosità: è per questo che oggi l’interessa molto anche la lirica?
«Ahimé, ha messo il dito sulla piaga!».
E perché mai?
«Perché in novembre mi attende un appuntamento con l’opera più misteriosa e sfuggente che ci sia: la Carmen del signor Bizet che devo mettere in scena a Salerno. Mi risponda con sincerità: sono io che me le vado a cercare?».
Cosa?
«Le
Non sarebbe Proietti se non lo facesse. E l’Ambra Jovinelli? È vero che ne assumerà la direzione?
«Se è per fare del teatro come si deve, le rispondo subito di sì».