La promessa del governo: alle famiglie il 66% di zero

L’economia, come la medicina, non è una scienza esatta, perché avendo a che fare con il comportamento umano a volte si scontra con l’imponderabile, ma nemmeno la si può degradare del tutto a chiacchiera da salotto o vanteria da bar, dal momento che le conseguenze delle scelte economiche non sono lontane e fumose come gli oroscopi, ma toccano in modo diretto e violento la vita delle persone. I responsabili economici del governo, invece, tendono ad affidare ai giornali amici delle lettere dove la politica economica viene propagandata con toni che stridono evidentemente con la realtà dei provvedimenti realmente attuati e percepiti dalla gente.
In questo solco si inserisce la lettera affidata nei giorni scorsi da Romano Prodi al Corriere dove, dopo aver riflettuto «nella quiete pasquale», ha deciso di dichiarare «ufficialmente» la sua intenzione in merito all’utilizzo delle eccedenze di bilancio. Leggendo la missiva è impossibile non rimanere allibiti: è vero che ormai siamo abituati a tutto, ma si fa ancora fatica a capire come si possa scrivere una frase del tipo: «Vorrei proprio che questi obiettivi fossero perseguiti nel modo più serio possibile, senza alcuna concessione ai calendari elettorali e senza mettere a rischio l’equilibrio dei nostri conti». Ma come? Sfugge forse al presidente del Consiglio che «nella quiete pasquale» e in curiosa coincidenza elettorale, un numero difficilmente quantificabile di miliardi se ne è già volato via in aumenti a pioggia per gli statali senza alcun impegno concreto per introdurre un minimo di meritocrazia?
Un concetto fondamentale è la differenza fra una spesa fissa e un guadagno imprevisto: è assurdo «trovare per strada» grazie ad una momentanea congiuntura favorevole dei denari e convertirli in spese che dovranno essere onorate anche quando i tempi si faranno duri e le entrate svaniranno. Addirittura fastidiosa poi la demagogia sindacale con cui Prodi denuncia che «i dirigenti delle imprese italiane hanno goduto, durante il 2006, di aumenti medi di retribuzione del 17%». Si potrebbe spiegare a Prodi che la retribuzione dei dirigenti (tranne quelli statali, ovviamente) è in genere variabile e dipendente dai risultati, quindi niente di strano che se le aziende sono andate bene nel 2006, contribuendo a creare quel «tesoretto» di cui tanto si vanta, un dirigente ne riceva un premio; ovviamente negli anni di magra i premi svaniscono e i dirigenti sono facilmente allontanabili in quanto privi di tutela dal licenziamento senza giusta causa. Perché non applicare questo «scandaloso privilegio» a tutti? Premi corposi nei casi di successo aziendale, ma se va male riduzioni e licenziamenti «facili»? Sarebbe interessante sentire l'opinione dei sindacati.
Alla fine della lettera comunque, ecco arrivare il messaggio «forte»: l’extragettito andrà 66% alle famiglie e 33% alle imprese. Non una menzione alla riduzione del debito pubblico (nuova salita a gennaio), con buona pace degli inviti europei in tal senso. Evidentemente a Prodi le percentuali piacciono e per dare il giusto peso a questa ennesima promessa basta ricordare il solenne impegno elettorale, quello del cuneo fiscale che doveva finire «per il 60% alle imprese e per il 40% ai lavoratori»: ebbene, nulla hanno ancora ricevuto le imprese dal cuneo fiscale e basta chiedere ai lavoratori per sapere come sia andata per la loro parte.
È improbabile che ci sia ancora qualcuno disposto a prestar fede alle vanterie di Prodi, comunque, se ci fosse ancora qualche anima candida che si aspetta ricchezza e felicità, non tema, si fidi e riceverà il 7% in meno di quanto ha ricevuto con il cuneo fiscale. I conti sono facili da fare: una qualsiasi frazione di zero è ancora zero, e questa non è più economia, è matematica. Scienza esatta.


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