A proposito dei libri da bagno della Bignardi

Che sollievo leggere Vanity Fair e scoprire che Daria Bignardi e suo marito Luca Sofri hanno una libreria nel bagno di servizio dove finiscono i libri inutili. Da lì, prima o poi, i volumi saranno inscatolati, portati al Libraccio e rivenduti per pochi euro. Con il ricavato verranno comprati su Amazon altri libri, altrettanto inutili, però americani che almeno fa più figo.
È un sollievo, e non lo dico con ironia, scoprire che il tragitto dei libri in casa Sofri-Bignardi è così simile al tuo: impilati sul tavolo da pranzo (per me è un vecchio carrello in cucina), poi spacchettati e smistati. Una parte finisce direttamente nella libreria e prima o poi, ma anche mai, saranno letti. Altri vanno sulla scrivania e qui hanno molte chances di essere letti, altri transitano in camera da letto e qui verranno letti di certo o almeno incominciati.
Chiunque si occupi per lavoro di libri dovrà prima o poi fare i conti con un bagno di servizio o uno sgabuzzino sempre troppo piccolo. A casa mia è un ripostiglio, con scaffali pieni di tutto: la scatola delle medicine in alto fuori dalla portata dei bambini, la cassetta degli attrezzi, una parte dedicata a dispensa con le scorte di pasta, pelati e biscotti e una parete per i libri inutili. Lo stanzino è un angolo buio della coscienza, un lieve senso di colpa misto ad ansia ti prende ogni volta che apri la porta e insieme alla scatola di pomodori crolla la pila dei libri inutili.
Segno che è l’ora del Libraccio. Anche questa soluzione è comunque faticosa: i libri vanno trasportati fin là.

Soluzioni alternative, nel mio caso, sono volenterosi amici che prelevano i volumi e li vendono per sostenere un ospedale pediatrico in India o altri che riforniscono sgangherate biblioteche rionali affamate di qualsiasi schifezza venga prodotta dal mondo editoriale.
Questo per dire cosa? Boh, forse solo che non c’è libro inutile che in qualche modo non possa rivelarsi utile (mica c’è sempre bisogno di leggerlo).
caterina.soffici@ilgiornale.it

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