Berlino - Quando i tedeschi partono così, non si sa mai dove arrivano. Ciclicamente sembra ricorrere nel fiero spirito nazionale quella pericolosa ossessione di una certa superiorità, se non razziale almeno intellettuale. Di nuovo la vedono in pericolo: stavolta, a intaccarla sarebbero gli immigrati. «In maniera naturale, stiamo mediamente diventando più stupidi»: questa la dichiarazione, settimane addietro, del socialdemocratico Thilo Sarrazin, membro autorevole della Bundesbank. Tanto per non fare nomi, diretto il riferimento «agli extracomunitari arrivati da Turchia, Medio oriente e Africa».
Nelle ultime ore, perché non si dica che quella era l’eccentrica analisi di uno svalvolato, tornano sulla questione due importanti membri della maggioranza di Angela Merkel. Oltre a condividere l’allarme per il peggioramento dell’intelligenza tedesca, questi hanno pure una proposta per fermare la deriva della stupidità. «Dobbiamo definire criteri d’immigrazione che servano davvero: oltre all’istruzione e alla qualifica professionale, serve il test d’intelligenza»: così Peter Trapp, ovviamente neppure una lontana parentela con il nostro umanissimo allenatore. È il responsabile di politica interna per la Cdu, non un peone di provincia. A sostegno, parole chiare anche da Markus Ferber, capogruppo al Parlamento europeo della bavarese Csu: «Dobbiamo fare come il Canada, che pretende dai figli degli immigrati un quoziente intellettuale più alto rispetto a quello dei locali».
Per dovere di cronaca, ma anche per trovare un minimo di consolazione, va detto che l’amorevole proposta del test d’intelligenza è già rimbalzata pesantemente in testa ai sostenitori. L’idea non piace alle opposizioni e tanto meno al governo. Ironizzando sui livelli di «Q. I.» in gioco, il viceportavoce della Merkel, Cristoph Steegmans, parla di una proposta «che non appare caratterizzata da un’intelligenza particolare». Da parte sua, il sindaco di Berlino Klaus Wowereit trova che la richiesta dimostri «un chiaro disprezzo nei confronti degli immigrati». Ma va?
Sorvolando sui rimedi, il segnale resta comunque chiaro: con la lentezza pachidermica di un mondo opulento e vagamente imbambolato, l’Europa si sta interrogando - diciamo così - sull’entità e sulle modalità di queste grandi migrazioni. In generale, la tendenza è di frenata. Dal tutti ovunque si sta passando al non tutti e non dappertutto. In certi ambienti, il sogno estremo: scegliere solo i capi migliori, come al mercato delle vacche.
Ricette del momento, le più varie. La Grecia, la Spagna, persino la piccola e nerboruta Malta continuano imperterrite ad applicare lo sbrigativo criterio delle fucilate, deviando i flussi dei disperati verso i vicini di casa con la convincente minaccia fisica. C’è chi come la Francia pensa ai test sulla conoscenza della lingua e dell’identità nazionale. Noi stessi, dopo gli anni allegri dell'accoglienza ipocrita, senza chiedere né come né perché, né il nome né il cognome, siamo passati a un controverso giro di vite, quanto meno basato su criteri di una pretesa lealtà e di un fattivo contributo lavorativo alla causa nazionale. Nel Regno Unito si parla di un tetto al numero degli immigrati.
Nessuno ovviamente ha la madre di tutte le soluzioni. C’è soltanto un luogo comune, comunissimo, che tutti illustrano e nessuno ha davvero voglia di applicare. «I Paesi non possono affrontare singolarmente l’immigrazione: il problema è dell’Europa nel suo insieme». Chi non l’ha sentito. Difatti, sono serviti trent’anni dai primi sbarchi per arrivare ad alcune pallidissime forme di pattugliamento bilaterale o trilaterale, certo non europeo in senso stretto. L’unica certezza è l’incertezza. Tutti stanno cercando di restringere le maglie della rete, tutti stanno cercando di restringere per conto proprio. Sempre in alto mare, come i barconi della disperazione, la soluzione unica e continentale, con regole davvero «europee». La differenza è che i barconi prima o poi approdano, mentre le regole dell’Europa vagano smarrite in perenne naufragio. Così, se ciascuno va per la sua strada, resta serio il rischio che a qualcuno scivoli la mano. Nel festival della creatività, ci sta tutto. L’umanità può partorire tranquillamente chiese e cannoni, virus e vaccini. Da questo punto di vista, la Germania sta dando molto: ha appena finito di esaltare la sua giovane nazionale di calcio, che diverte in Sudafrica grazie alla perfetta integrazione dei ragazzi di etnie importate, ed ecco la proposta del test d’intelligenza.
Non c’è molto da aspettare: conviene per decenza archiviarla subito alla voce colpi di sole. Anche perché, osservando bene noi europei, non sembra proprio che per diventare più stupidi abbiamo bisogno di aiuti particolari dall’esterno. Ci arrangiamo benissimo da soli.
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