La proposta Diamo un taglio ai parlamentari

SISTEMA Il numero degli eletti alla Camera e al Senato va collegato a quello dei votanti

Il testo originario della nostra costituzione prevedeva che la Camera fosse eletta in ragione di un deputato per 80mila abitanti o per frazione superiore a 40mila, e che a ciascuna regione fosse attribuito un senatore per 200mila abitanti o per frazione superiore a 100mila. Erano tempi in cui la popolazione cresceva di continuo. Così il numero dei deputati nelle prime tre legislature è passato da 572 a 586, fino a 593. E altrettanto è accaduto per i senatori. Di questo passo a Montecitorio e a Palazzo Madama non ci sarebbe stato il posto a sedere per tutti e i meno fortunati sarebbero stati costretti a starsene in piedi. Come nei tram e nei treni affollati.
Nel febbraio del 1963 è perciò intervenuta una modifica costituzionale ad hoc. E dunque a partire dalla quarta legislatura il numero mobile dei parlamentari è stato sostituito da un numero fisso: 630 deputati e 315 senatori elettivi, ai quali vanno aggiunti gli ex presidenti della Repubblica e i cinque senatori a vita. Come dire, la carica dei mille novelli garibaldini o giù di lì. Come se tutto questo non bastasse, nel 1970 hanno cominciato a funzionare i consigli delle quindici regioni a statuto ordinario. Se si conteggiano anche i consigli delle regioni a statuto speciale, si arriva alla conclusione che i mille si duplicano bellamente. Va bene che la casta - ma sì, Sua Maestà la Partitocrazia - ha avuto sempre una fame da lupo. Ma, francamente, il troppo stroppia.
Risalgono a quegli anni le prime voci a sostegno di una riduzione del numero dei parlamentari. Tanto più che in regime proporzionale nessun rappresentante del popolo è eletto in un collegio uninominale come in Inghilterra. Ma queste flebili voci sono messe ben presto a tacere con la solita e logora accusa di qualunquismo. Nell’ultimo decennio si è però cambiato registro. Prima il testo della commissione bicamerale per le riforme costituzionali presieduta da Massimo D’Alema, poi la «Grande riforma» del centrodestra sciaguratamente affondata dal referendum, infine il progetto predisposto nella passata legislatura dalla commissione Affari costituzionali della camera presieduta da Luciano Violante, hanno previsto una congrua riduzione del numero dei parlamentari. Ma tutto è rimasto allo stato delle buone intenzioni. Con il risultato che non si è cavato un ragno dal buco.
Dato che si torna a parlare di riforme costituzionali, questa potrebbe essere la volta buona. Ma il fatto che sia la classe politica a dare i numeri dei parlamentari non ci piace più di tanto. Perché sospettiamo come andrebbe a finire. Si partirebbe da un numero piuttosto basso. Ma poi provvederebbero i due rami del Parlamento a farlo lievitare di volta in volta. Con il rischio di lasciare tutto pressappoco come prima. E allora perché rinunciare all’idea, invano coltivata dal sottoscritto molti anni fa, che siano direttamente i cittadini a stabilire il quantum? Un’idea riproposta ora dal costituzionalista Michele Ainis in un suggestivo libriccino che ha per titolo La cura.
È l’uovo di Colombo, del resto.

Basterebbe una minuscola modifica costituzionale che rapportasse i seggi parlamentari al numero dei voti validamente espressi. Scommettiamo che pur di ottenere una drastica riduzione dei rappresentanti del popolo, molti di noi farebbero volentieri lo sciopero elettorale?
paoloarmaroli@tin.it

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