Controcultura

La proprietà è la miglior difesa della natura

La proprietà è la miglior difesa della natura

Dinanzi alle questioni ambientali l'attitudine dei più consiste nel chiedere un maggior intervento statale: fatto di espropri, nuove regole, apparati burocratici. Se però si riflettesse sulle radici del problema (...)

(...) si inizierebbe a mettere in discussione questa logica, che porta i difensori della natura a sposare ogni forma di interventismo e logica coercitiva.

Alle radici dei problemi ecologici del nostro tempo, in effetti, c'è una profonda crisi del diritto. Mentre gli ordinamenti giuridici del passato definivano con ammirevole esattezza «chi» poteva fare «cosa», e in linea di massima lo facevano a partire da istituti posti a difesa della proprietà, oggi viviamo entro società nelle quali la proprietà è quasi svuotata e le norme giuridiche sono assai più arbitrarie. Nel diritto romano, ogni inquinamento - a causa di fumi o cattivi odori - era considerato un'immissio: una «invasione» che i pretori dovevano sanzionare. Il compito dell'ordinamento consisteva allora nel definire con esattezza i confini della proprietà e nel porre solide barriere a loro difesa.

Adesso tutto è cambiato e la politica può fare e disfare le regole del gioco. Ne discende che nessuno è al sicuro, poiché il regolatore può facilmente essere «catturato» da un gruppo d'interessi e portato a schierarsi con l'inquinatore invece che con l'inquinato. Nel momento in cui l'ordinamento ha smesso di proteggere la proprietà, non ci si può stupire se alla fine molti sono autorizzati dalla legge a entrare in casa nostra e invadere la nostra aria. Restaurare il diritto e la proprietà non impedirebbe soltanto i comportamenti aggressivi che ci ammorbano la vita. Se un'altra apprensione assai comune tra gli ambientalisti concerne le risorse naturali e la loro scarsità, anche in questo caso è bene ricordare la lezione aristotelica, in ragione della quale di ciò che è di tutti non si prende cura nessuno. Se allora vogliamo che le montagne non vadano in malora, bisogna smettere di sottrarle alla gestione di quanti lì vivono e bisogna dunque sottrarle allo Stato.

La stessa analisi economica offre elementi a sostegno di una visione alternativa. Tra gli ambientalisti statunitensi favorevoli al mercato, ad esempio, si sottolinea più volte come, all'arrivo dei coloni, il continente nordamericano fosse ricco di bisonti e privo di galline, mentre oggi i primi sono sostanzialmente spariti, mentre vi sono milioni di polli. Quale è la ragione di tutto ciò? Semplice: le galline erano e sono private, mentre sui bisonti non sono stati definiti quei titoli di proprietà che avrebbero fatto di loro un «capitale» da gestire con oculatezza. Rimanendo res nullius, i bufali sono stati uccisi a più non posso, poiché chi avesse pensato al loro futuro in realtà li avrebbero solo resi disponibili alla caccia di altri. La protezione della natura ha bisogno del diritto e i beni ambientali hanno bisogno di «custodi». Lo statalismo dei verdi, in questo senso, è una sorta di veleno somministrato a un malato agonizzante.

Carlo Lottieri

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