Recidivo perfino nella iella. Uno sfortunato bandito di 39 anni ha tentato tre rapine nel giro di un'ora a
Roma ma non è riuscito
a compierne neanche una ed
è stato arrestato.
Lo scrittore Marco Vichi ne ha romanzato
a suo modo la storia. (Nella foto: Wody Allen nei panni di un rapinatore nel film "Prendi i soldi e scappa")
Aveva parcheggiato la macchina poco distante dalla banca, la stessa banca dove aveva aperto il mutuo per comprare tre stanze con bagno. Aveva il cuore accelerato e si mordeva le labbra per farsi coraggio. La banca chiamava quell'operazione «accendere» un muto. Lo avevano acceso proprio bene, il mutuo. Infatti la sua vita aveva preso fuoco e adesso era rimasta solo la cenere. Se lo ricordava bene quel ragazzino incravattato con la faccia pallida che gli aveva fatto firmare i documenti. Aveva una voce fastidiosa e non faceva che tirare su con il naso. «Dia retta a me, scelga il tasso variabile.Vedrà che il costo del denaro scenderà in poco tempo» gli aveva detto, sorridendo con aria complice.
Lui gli aveva dato retta, aveva firmato quei maledetti fogli. E dopo un anno la rata era diventata la metà del suo stipendio. Era tornato alla banca per chiedere di rinegoziare il mutuo, ma non c'era stato nulla da fare. Pagare e zitto. Aveva dovuto stringere la cinghia. Niente più pizza, niente più cinema, nessuna spesa extra. Ma non tutte le spese extra erano volontarie. Ci si era messodi mezzo un maledetto dente. Aveva resistito un mese, poi era corso dal dentista.
«Si deve fare una corona» aveva
detto il dentista,anche lui sorridente.
Con tutti i soldi che guadagnava
faceva bene a sorridere.
«Quanto mi costerà?» aveva
chiesto, con il fiato sospeso.
«Poco, non si preoccupi».
«Poco quanto?».
«Be', tra i mille e cinque e i duemila
euro».
«Non può essere un po' più preciso?».
Tra mille e cinque e duemila
c'erano cinquecento euro, quasi la
metà del suo salario.
«Dipende se vuole la fattura...
Lei sa com'è...».
«No, com'è?».
«Se si fa tra noi le tolgo il venti
per cento».
«La chiamo presto».
Se n'era andato
senza incoronare il dente, e
per tirare avanti si imbottiva di
analgesici.
Tutto questo poteva ancora sopportarlo,
ma quella mattina sua
moglie gli aveva detto dolci parole
d'amore: sei un buono a nulla, ti
fai fregare da tutti, non sai farti rispettare.
Basta. Era arrivato il momento
della resa dei conti. Il mutuo lo
avrebbe rinegoziato a modo suo.
Scese dalla macchina con il passamontagna
in tasca e si avviò sul
marciapiede borbottando tra i denti...
Figli di puttana, ladri, bastardi...
Arrivò alla banca, aspettò che
la porta girevole fosse aperta e s'infilò
dentro mettendosi il passamontagna.
C'erano solo tre o quattro clienti. Corse alle casse reggendo in mano un minuscolo e tagliente cacciavite. «Nessuno si muova o faccio un macello!» gridò, e dal silenzio sbocciarono urletti femminili. «Che cazzo aspetti ad aprire la cassaforte?!» ringhiò al primo che vide. L'impiegato gli indicò un adesivo colorato appiccicato al vetro: Si informano i signori clienti che in questa banca la cassaforte si apre dopo un'ora dall'inserimento delle chiavi. «Mi prendi per il culo? Aprite le casse e fuori i soldi» gridò atutti gli impiegati, che lo fissavano in silenzio. Si aprì una porta e apparve faccia pallida in persona. «Che diavolo succede?» disse l'autore della sua rovina. Un'occasione così non poteva lasciarsela sfuggire. Saltò il bancone con un'agilità che non si aspettava, e sferrò un pugno benedetto su quel muso pallido. Nella banca risuonò un dolcissimo crack di ossicini rotti, e lo stronzetto cadde lungo disteso annaffiando di sangue la cravattina alla moda. «Non sorridi più, adesso?». Si era lasciato sfuggire quella frase, non era riuscito a trattenersi.
Faccia pallida si tirò supiagnucolando e cominciò a gridare che lo aveva riconosciuto, che lo avrebbe denunciato. Scappò via come una lepre, e un minuto dopo era già in macchina che correva lungo il viale, con il cuore che gli usciva dalle orecchie. Accidenti a quello stronzo. Non gli bastava averlo rovinato una volta... E adesso? Non poteva tornarsene a casa così, senza nemmeno aver racimolato mille euro. E pensare che c'erano ladroni che più rubavano e più facevano carriera. Ladroni che sorridevano tutto il giorno, ovviamente. Guidòfino alla periferia, e voltando in una stradina vide una farmacia comunale illuminata a giorno. Rallentò e guardò dentro. Al banco c'era una donnina con i capelli bianchi. Nessun cliente in coda. Sembrava quasi un invito. Parcheggiò, si mise il passamontagna e si precipitò dentro agitando il cacciavite. «Fuori i soldi e non faccia scherzi». Gli era venuto spontaneo darle del lei, perché era una persona anziana. La donnina dilatò gli occhi, impaurita. Mise una mano sotto il banco e... in aria apparve un pistolone nero con una bocca da fuoco che sembrava un pozzo. «Se non sparisci entro due secondi sparo». «Non finisce qui» gridò lui, e si precipitò fuori senza agitare il cacciavite.
Rimontò in macchina e pigiò sull'acceleratore. Vagò intorno alla città per almeno un'ora, con la voglia di piangere. Non voleva rassegnarsi. Doveva tornare a casa almeno con duecento euro, o magari anche cento. Era una questione di principio. Tornò verso il centro e individuò l'obiettivo. Doveva fare le cose con calma e decisione. Lasciò la macchina a un isolato di distanza e si avviò apiedi verso la vittima designata. Il giornalaio era un tipo grasso che non sarebbe stato in grado di fare venti metri di corsa. Guardando le copertine delle riviste porno aspettò che non ci fosse nessuno, poi si piazzò davanti al grassone con una mano in tasca a forma di pistola. «Sono armato, dammi i soldi o sei morto» disse a bassa voce. Il tipo lo guardò con due occhi da bue. «Che? Non ho capito nulla». «Dicevo che sono arm...». S'interruppe, perché era arrivato un tipo con la faccia da topo a chiedere una rivista. Seguì la scena con impazienza: il giornalaio si sporse in avanti perpassargliela e prendere i soldi, e si rimise a sedere con un sospiro. Non vedeva l'ora che faccia di topo se ne andasse, per poter continuare in santa pace la sua rapina. Ma il topo si voltò per lanciargli un'occhiata... e dopo un attimo di perplessità s'illuminò come una lampadina. «Carlo! Non mi riconosci? Abbiamofatto le elementari insieme! Come te a passi? Io bene, e tu? Dopo il diploma sono entrato in banca e sto facendo carriera... Ma dove vai? Aspetta, che ti succede?».
Corse verso la macchina, e solo dopo un po' si accorse che dentro la tasca aveva ancora la mano a forma di pistola. Strinse il pugno fino a farlo scricchiolare. Si sentiva così avvilito che non gli sarebbe dispiaciuto fare a botte con qualcuno. Ma la giornata non era ancora finita. Quando voltò l'angolo vide la sua Panda che si allontanava... era molto strano, visto che lui non la stava guidando. Quando si svegliò si precipitò a inseguirla, tirando giù tutti i santi del cielo a forza di bestemmie. Ma quattro ruote erano più veloci di due gambe. Salì sopra un bus, sperando che non salisse il controllore.
A casa trovò i carabinieri ad aspettarlo, insieme a sua moglie che piangeva. «Vorrei fare una denuncia, mi hanno rubato la macchina», continuava a ripetere, mentregli mettevano le manette.Marco Vichi
Scrittore
Il suo ultimo libro è Donne donne (Guanda)
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