Prove tecniche di rivolta, Gheddafi in allerta

Il dissenso egiziano oltrepassa i confini di piazza Tahrir. E non soltanto perché gli organizzatori delle manifestazioni hanno promesso che domani porteranno la protesta in altre strade del Cairo. La contestazione contagia anche altri Paesi. Se nei giorni scorsi Giordania e Yemen sono stati toccati da manifestazioni, nelle prossime ore sarà il turno di Libia, Algeria e Bahrain.
A Tripoli, il colonnello Mu’ammar Gheddafi, al potere dal 1969, è già in allerta. I gruppi d’opposizione hanno infatti chiamato alla protesta attraverso internet, annunciando un «giorno della rabbia» il 17 febbraio a Bengasi. Nella stessa data, nel 2006, manifestazioni in origine contro le vignette danesi su Maometto si erano trasformate in uno sfogo popolare contro il regime. Negli scontri con le forze dell’ordine restarono uccise più di dieci persone. Secondo il quotidiano arabo pubblicato a Londra, AsSharq El Awsat, Gheddafi da giorni sarebbe impegnato a incontrare attivisti e giornalisti per cercare di arginare il dissenso e mettere in guardia i cittadini delle conseguenze che il loro coinvolgimento potrebbe avere. La Libia non deve essere trascinata nello stesso caos dell’Egitto, avrebbe detto il rais, aggiungendo: «È sbagliato prendersela con Hosni Mubarak: è un uomo povero, non ha neanche i soldi per i suoi vestiti. Più volte lo abbiamo aiutato noi. Quanto accade in Egitto è colpa dei servizi segreti israeliani». In un Paese in cui il dissenso è raramente tollerato, gli eventi in Tunisia ed Egitto hanno dato coraggio alla popolazione. E ora le teorie del colonnello non sembrano frenare più l’opposizione. Attivisti e dissidenti di diversi Paesi della regione cercano oggi di capitalizzare sull’onda della protesta tunisina ed egiziana. In Algeria, i gruppi della contestazione hanno deciso di scendere in strada il 12 febbraio nonostante il divieto di manifestare imposto dalle autorità. Il Paese è abituato alle proteste di strada. Eppure, negli ultimi mesi, l’irrobustirsi del malessere sociale e l’onda lunga degli eventi tunisini ed egiziani hanno reso le opposizioni più attive. Lo stesso accade nel Golfo, in Bahrain, dove una manifestazione antigovernativa è in programma il 14 febbraio, nono anniversario della proclamazione della monarchia costituzionale. Anche qui sono i social network a svolgere un ruolo centrale nella propagazione del dissenso. Sono 6.000 le persone che si sono iscritte al gruppo Facebook della protesta: chiedono l’aumento dei salari e misure contro la disoccupazione, ma anche riforme politiche. Nel Paese esiste una questione religiosa che potrebbe diventare centrale nelle proteste di piazza: la maggioranza sciita è governata da una leadership sunnita.
E il dissenso regionale valica in confini del mondo arabo. I giovani iraniani dell’Onda verde, approfittando del sostegno ufficiale mostrato dalla leadership di Teheran alla piazza egiziana, hanno annunciato una protesta di solidarietà con il Cairo per domani, anniversario della rivoluzione islamica del 1979. I pasdaran hanno però reagito immediatamente: «Non tornate in strada».
Le scosse della rivoluzione tunisina si fanno sentire nel resto della regione sotto forma di nuove proteste ma anche di concessioni da parte di preoccupati regimi. Dopo la fuga del presidente Zine El Abidine Ben Ali in Tunisia, il rais egiziano Mubarak e il leader dello Yemen Ali Abdullah Saleh hanno annunciato che non si ripresenteranno al termine del loro mandato.

In Algeria, Abdelaziz Bouteflika ha detto che «in un futuro prossimo» cancellerà le leggi di emergenza in vigore dal 1992. Il re giordano Abdallah ha formato un nuovo governo, sotto la pressione della piazza. La Siria ha permesso l’accesso a Facebook e You Tube.

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