La provocazione L’Unità d’Italia? Festeggiamo i nostri Padri libertini

Eccolo un bello spunto per il 150° dell’unità d’Italia: ci si occupa tanto delle abitudini fra le lenzuola dei governanti, perché non approfondire le gesta dei padri della Patria cui i loro successori si ispirano con tanto slancio?
Di tutti il più morigerato era Cavour che aveva un debole per le signore attempate e per le ballerine ungheresi. È stato fra i pochi a non godere delle grazie che la sua cuginetta Virginia, detta Nicchia, moglie del conte di Castiglione, ha profuso a regnanti, imperatori, ambasciatori, eroi delle patrie battaglie e finanzieri. I suoi «buoni uffici» con Napoleone III sono stati l’arma vincente per l'inizio della redenzione nazionale. «La vulva d’oro del nostro Risorgimento» la chiamava Urbano Rattazzi che di queste cose se ne intendeva avendo egli stesso lucrato vantaggi politici dall’affettuosa amicizia di sua moglie Letizia con Vittorio Emanuele II. In quanto a lui, il «re galantuomo», non era quasi certamente figlio di suo padre ma neppure di sua madre essendo stato prelevato dalla progenie di Gaetano Tiburzi, detto «il Maciacca», rubizzo macellaio fiorentino. Forse anche per questa sua origine «sanguigna» inseguiva ogni gonnella senza fare troppi complimenti in fatto di età, di censo e di qualità estetica. Otello Pagliai - che ha dedicato una vita a studiare gli affari di famiglia Savoia - ha insinuato che si fosse interessato anche della nuora Margherita, quella della pizza. Trascurata dal marito, il futuro Umberto I, assiduo della duchessa di Arese, Margherita frequentava più volentieri ufficiali dei corazzieri e principi prussiani che non il regale consorte di cui era cugina prima e con cui si è limitata a generare 154 centimetri di «re e imperatore».
Per perseguire nobili obiettivi patriottici, Vittorio non aveva esitato a dare in moglie la quindicenne figlia Clotilde al nipote di Napoleone, detto Plon Plon, un attempato libertino: dalla coppia nasce Letizia che - per onorare un trend di famiglia - sposa Amedeo, fratello di Umberto e figlio di Vittorio. Secondo l’implacabile Pagliai «Letizia era diventata zia di se stessa, cognata dei suoi genitori e di suo zio re Umberto, nipote di suo marito e zia dei suoi fratelli».
Pur preso dai suoi profondi pensieri e dalle preoccupazioni per i destini della Patria, l’ascetico Mazzini non ha disdegnato le compagnie femminili all’interno del milieu patriottico: Adelaide Zoagli, madre di Goffredo Mameli; Giuditta Bellerio vedova del cospiratore Giovanni Sidoli; Susan, moglie inglese del patriota Pio Tancioni; Emile, moglie del carbonaro Carlo Venturi; Sara, madre di Ernesto Nathan, sindaco di Roma indicato come figlio di Mazzini; l’inevitabile Jessie White, che tanto amava l’Italia da frequentarne appassionatamente tutti gli eroi più indomiti. A Mazzini è attribuito anche un triangolo con Anna Courvoisier e Agostino Ruffini, altro inossidabile patriota.
Un menage à trois ha coinvolto anche Carlo Pisacane - icona della sinistra rivoluzionaria -, Enrichetta de Lorenzo, moglie di suo cugino, ed Enrico Cosenz. Silvia, la figlia dei tre, è stata adottata da Giovanni Nicotera, forse per mitigare i sensi di colpa per il suo ambiguo comportamento nello sbarco di Sapri. Qualcuno sostiene che la maldestra spedizione sia stata la reazione del focoso Pisacane ai pasticci amorosi.
Non è stata la sola avventura patriottica scaturita da una vicenda di corna. Nel bel mezzo della seconda guerra di indipendenza, Garibaldi aveva piantato in asso i suoi per correre dietro alla giovanissima contessina Giuseppina Raimondi: lui aveva 53 anni e lei 18. Saputo appena dopo le nozze che lei era incinta e che il figlio era forse di una delle sue camicie rosse, l’aveva abbandonata sprofondando nella depressione. La repentina decisione di imbarcarsi per la mitica spedizione in Sicilia è maturata in un clima di corna e di sfottò: doveva cambiare aria.
Al di là di questa disavventura, di tutti i patri eroi è Garibaldi il vero sciupafemmine: senza problemi di estetica né di età. Battistina, la serva che aveva messo incinta, aveva 19 anni ed era bruttissima: lui aveva passato i cinquanta. Tutta la sua biografia è un intricato garbuglio di sveltine e di passioni ardenti.
I suoi hanno fatto di tutto per seguirne le orme. Neppure in età avanzata Crispi ha smesso di essere un impenitente donnaiolo. A un certo punto la moglie Lina ha mandato una lettera al vecchio servitore di famiglia: «Vi ordino di non portare più puttane a don Ciccio».
Poco è cambiato da allora: le lettere le si mandava a maggiordomi paraninfi e non ai rotocalchi e - soprattutto - non c’erano telefonini né microspie.

L’Italia di oggi è nata lì. Certo non solo dai gossip. La ricorrenza sia oggi occasione per ragionare sugli ideali, sulle vicende, sui sacrifici ma anche sugli intrighi, violenze e inganni che hanno fatto questo Stato contro natura.

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