Il ministro Gelmini promuove la collaborazione tra Stato, Regioni e privati sul terreno della ricerca scientifica e dell'innovazione. E indica nel sistema creato dalla Sardegna un modello valido per tutta l'Italia.
Per quale motivo la Sardegna rappresenta un modello da seguire?
«Perchè interpreta correttamente il nuovo modo di intendere la ricerca. Il carattere globale delle attività scientifiche e tecnologiche e la riduzione dei tempi tra ricerca e ingresso sul mercato di un prodotto richiedono un nuovo modello di intervento. Al modello tradizionale (scienza-tecnologia-prodotto) si sovrappone un nuovo modello dell'innovazione, con processi interattivi che coinvolgono contemporaneamente più settori e discipline, dove i ricercatori, insieme alle imprese, si impegnano su percorsi di ricerca complementari e integrati. A livello locale, anche le Regioni possono integrare le risorse nazionali e svolgere azioni di sostegno alle istituzioni, confrontandosi su scala internazionale e avvalendosi delle migliori competenze esterne».
Come giudica la scelta della Sardegna di non tagliare ma piuttosto di incrementare i fondi per la ricerca scientifica?
«È una scelta che condivido. L'aumento della quota del Pil destinato a ricerca e sviluppo è necessario e sarà sostenuto a livello nazionale. Aumentare i finanziamenti alla ricerca significa contribuire a uno sviluppo duraturo e sostenibile dell'economia».
Qual è il rapporto tra ricerca scientifica e sviluppo economico?
«Oggi la complementarietà tra conoscenze, esperienze e competenze di ambiti scientifici diversi, come ad esempio le nanoscienze, le infoscienze e le bioscienze, provoca mutamenti radicali nel sistema produttivo. Esiste poi una crescente integrazione tra scienza e tecnologia: il contenuto scientifico delle nuove tecnologie è aumentato e, nello stesso tempo, è aumentato il contenuto tecnologico dell'approccio scientifico. Per questi motivi è importante sostenere la ricerca e in particolare la partecipazione a questo processo delle imprese di piccola dimensione e con scarsa dotazione di competenze ed esperienze, per consentire loro di trasformarsi e di sviluppare il tessuto produttivo».
Come sta la ricerca italiana oggi?
«Lo scenario di riferimento, rappresentato dal Programma nazionale della ricerca, delinea un ritardo dell'Italia rispetto al contesto scientifico internazionale. Serve una maggiore propensione ad applicare i risultati della ricerca: abbiamo ancora pochi brevetti e poche collaborazioni con imprese, sia italiane sia straniere. Gli investimenti privati segnalano inoltre una consistente distanza dalla media europea».
E in futuro?
«La chiave di volta per garantire la crescita del sistema di ricerca in un'economia basata sulla conoscenza è l'interazione costante e profonda tra imprese, università e istituzioni di governo. La collaborazione pubblico-privato ha un valore strategico per lo sviluppo di prodotti e processi necessari a mantenere e sviluppare la competitività del Paese e il livello delle esportazioni, nonché a ridurre la dipendenza nazionale, economica e politica, in settori come quello dell'energia, dell'ambiente e della salute.
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