Puniti i devastatori di Milano: quattro anni

Risarciti il Comune e un carabiniere ferito. L’ex ministro Castelli: «Una giusta lezione»

Enrico Lagattolla

da Milano

In aula, il silenzio degli imputati. Fuori, le grida dei genitori e dei parenti. Il giudice per le udienze preliminari Giorgio Barbuto ha appena letto la sentenza. Diciotto autonomi vengono condannti a 4 anni (ai domiciliari) con le accuse a vario titolo di devastazione, incendio, adunata sediziosa, resistenza e violenza a pubblico ufficiale, lesioni volontarie aggravate e porto di armi improprie. Nove gli assolti. Due patteggiano: un anno con la condizionale un imputato, un’ammenda di 50 euro un altro. Viene fissata una provvisionale di 4.380 euro per il Comune di Milano e di 262 euro per il carabinieri rimasto ferito da un razzo (parti civili). Dopo quattro mesi, si chiude il primo capitolo sugli scontri di corso Buenos Aires. Una sutura sulle ferite dell’11 marzo.
Nel dispositivo firmato dal gup, dunque, viene sostanzialmente riconfermata l’impostazione della Procura, che indicava la responsabilità diretta degli arrestati negli episodi più violenti registrati in occasione della contromanifestazione organizzata dai centri sociali per impedire il corteo della Fiamma tricolore. Un’accusa basata su elementi di prova che il tribunale ha ritenuto - almeno nella maggior parte dei casi - fondati. Immagini e fotogrammi che immortalavano alcuni degli imputati sulla «prima linea» degli scontri e le testimonianze di passanti e residenti. Le vetrate infrante, le auto incendiate, le bombe carta, il razzo che ferì un carabinieri e che - secondo la perizia del Ris - avrebbe potuto uccidere.
Una sentenza dura, anche se «temperata» in virtù del rito abbreviato e della concessione delle attenuanti generiche. Una decisione che non soddisfa né gli imputati, né i loro legali. «Questo è solo il primo passo verso l’accertamento della verità - commenta l’avvocato Mirko Mazzali -. Aspettiamo le motivazioni, faremo appello». Perché proprio quelle prove portate in aula dall’accusa non avrebbero definito alcuna responsabilità individuale. «È una sentenza di compromesso», dice l’avvocato Ugo Giannangeli. «Hanno colpito nel mucchio - tuona il padre di uno dei ragazzi condannati -, hanno preso degli innocenti e lasciato in libertà i fantasmi». A distanza, il pubblico ministero Piero Basilone (che aveva chiesto condanne da 5 anni e 8 mesi a sei anni) si limita a giudicare «arbitrario commentare un dispositivo. Ma evidentemente gli indizi erano univoci».
Ma la protesta prosegue anche fuori dal Palazzo di giustizia. Al grido «vergogna!», «liberi tutti, subito!», rabbioso contro «una sentenza politica», un corteo improvvisato contro la decisione del tribunale si snoda per la città fino ad arrivare al carcere di San Vittore, ad aspettare gli imputati assolti.
Immediata, la politica. Che si divide. Da un lato, l’ex ministro di Grazia e giustizia Roberto Castelli: «Una sentenza giusta ed educativa. Tutti quei facinorosi che pensavano di ottenere l’immunità per il semplice fatto di devastare una città quali esponenti di sinistra, ricevono oggi una severa lezione». Dall’altro, la sinistra radicale che si compatta nelle critiche al provvedimento. Vittorio Agnoletto, eurodeputato della Sinistra unitaria europea, replica ricordando che «nove assolti si sono fatti quattro mesi di carcere senza aver commesso alcun reato. Questo garantismo basato sulle classi sociali è diseducativo». Il senatore dei Verdi Mauro Bulgarelli definisce la sentenza «inquietante».

«Le condanne - dice - sono state emesse ricorrendo al principio del concorso morale, senza che siano emerse prove concrete. Mi auguro non trovi conferma nei successivi gradi di giudizio, giacché costituirebbe un precedente pericoloso e inaccettabile». I consiglieri lombardi del Prc: «Giustizia non è stata fatta».

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