Pupi Avati, lo straordinario poeta dell’identità

Pupi Avati, lo straordinario poeta dell’identità

(...) non solo o non tanto perchè non ha paura di verità scomode, come quella di dire che è vergognoso che il cinema italiano, anche quello di autori affermati, viva di sovvenzioni e regalie da parte dello Stato, sovvenzioni e regalie che non hanno alcun motivo di esistere.
Avati è sempre e comunque un valore aggiunto perchè, con il suo fare un po’ burbero, un po’ da vecchio zio, riesce a dire cose bellissime. Lo fa nei film, quelli più riusciti e quelli meno riusciti, alcuni attraversati da un tocco magico da artigiano, nel senso più bello che la parola sa avere, e lo fa nelle dichiarazioni. Nei giorni scorsi, ad esempio, in un’intervista al Secolo XIX, ha detto: «Perchè cos’è, alla fine, il talento? È la tua identità, è l’essere te stesso in quello che fai, che sia avvitare un bullone, scrivere un articolo o girare un film. L’identità è il bene più prezioso che abbiamo, ciò che questa società sempre più omologata cerca di distruggere. È la cosa che ho sempre cercato di mantenere, nel modo più onesto possibile».
Giuro che non ci eravamo messi d’accordo. Ho avuto, talvolta, la fortuna di parlare con Pupi Avati e di commentare insieme a lui fatti e articoli, ma non in questa circostanza. Eppure, le sue parole sull’identità e sul valore dell’identità sono le nostre. Sono le stesse di cui abbiamo iniziato a parlare fin dal giorno in cui scrissi per la prima volta sulla bellezza di Carloforte, sulla sua forza assoluta di sardità e di genovesità.
Chi parla bene, chi pensa bene, chi ama bene, vive bene. E Pupi Avati è uno di questi, come testimonia nei suoi film, fin dai titoli. Il testimone dello sposo, La via degli angeli, Il cuore altrove, Quando arrivano le ragazze?, il prossimo Una sconfinata giovinezza. E ancora, il citato Gli amici del bar Margherita e La seconda notte di nozze e La cena per farli conoscere e Il figlio più piccolo e Festival e Regalo di Natale e mille altri film, brandelli di vita fin dai titoli.


Brandelli in cui ha preso spessissimo attori comici o non attori e li ha trasformati in straordinari protagonisti: da Diego Abatantuono a Massimo Boldi, da Christian De Sica a Neri Marcorè, da Katia Ricciarelli ad Antonio Albanese, da Vanessa Incontrada a Fabio De Luigi, fino ai suoi attori-feticcio di un tempo, da Nik Novecento a Gianni Cavina a Carlo Delle Piane, fino a grandissimi di ieri come Ugo Tognazzi, straordinario in Ultimo minuto, e di oggi come Silvio Orlando che in Il cuore altrove ha firmato il capolavoro di una vita.
Ecco, la bellezza di quelle facce, di quei personaggi, di quei titoli, di quei cuori, è la bellezza dell’identità. L’identità di Pupi Avati. L’identità del cuore. La stessa che proviamo a trasmettervi ogni giorno.

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