Pure la lista Burlando scarica Burlando sul «piano Marchionne»

Pure la lista Burlando scarica Burlando sul «piano Marchionne»

La lista Burlando contro la coalizione di Burlando. Mentre lui, Claudio Burlando, svanisce. È assente ingiustificato all’unico dibattito che affronta il consiglio regionale. Si parla di futuro economico, di strategie, di salvezza dei posti di lavoro, di confronto con le aziende e di ricerca dell’unità sindacale. Temi cari alla sinistra, proposti da destra. Quindi da respingere, per chi, come il Pd e i suoi alleati, ne fanno una questione ideologica e bocciano persino l’idea di «promuovere tavoli di confronto e concerto presso gli organismi nazionali competenti, al fine di un ricomponimento della pericolosa frattura creatasi tra le sigle sindacali». La mano tesa arriva dal consigliere regionale del Pdl Alessio Saso che, a nome di tutti i colleghi di partito co-firmatari della mozione, evita i discorsi strumentali e suggerisce di valutare se in Liguria si possa ragionare con alcune aziende alla luce dei nuovi contratti di lavoro approvati con il referendum alla Fiat. Il «metodo Marchionne», insomma.
Quella di Saso non è la proposta di azzerare i contratti collettivi e di introdurre in Liguria tutti nuovi accordi in stile Pomigliano d’Arco e Mirafiori. La mozione chiede solo di «non prescindere dalla posizione innovativa peraltro già frammentariamente adottata in molte realtà industriali italiane». Di non alzare, insomma, steccati preconcetti.
Ma proprio in via Fieschi la sinistra alza il muro di Genova. Passino gli interventi di Matteo Rossi e Alessandro Benzi, dell’ala più radicale. Ci sta, fanno il loro mestiere nel parlare di «ritorno a condizioni di lavoro ottocentesche». Quello che stupisce è il niet di Nino Miceli, capogruppo Pd, che boccia la proposta del centrodestra spiegando che il piano Marchionne alla Fiat è stato proposto «senza la presentazione di un piano industriale né di una contropartita all’accordo». Inizia soft anche l’intervento dell’assessore Renzo Guccinelli, che dice di apprezzare «la discussione positiva e interessante». Ma poi deve dare l’impronta della giunta, in assenza del leader. Prende atto che il Pd si allinea con l’ala estrema, e allora s’inventa la giustificazione al «no». «È giusto porsi il problema di una risposta alla questione lavoro e al futuro delle aziende, ma non credo che l’accordo di Pomigliano possa dare queste risposte», spiega, prima di lasciarsi scappare una carezza ai compagni duri e puri, dicendo che il refendum alla Fiat «mina il sistema dei diritti dei lavoratori».
Sono molti gli interventi in aula. Il caso Fincantieri viene più volte citato come esempio di azienda che avrebbe bisogno di elasticità di rapporti e non di barricate. Il capogruppo Pdl Matteo Rosso non può fare a meno di sottolineare la netta differenza tra centrodestra e centrosinistra, ricorda a quelli che dovrebbero essere i moderati della coalizione di Burlando che non si possono difendere a oltranza coloro che addirittura «accolgono Nichi Vendola al grido di “Vai a lavorare”», che piuttosto vada «tutelato chi ha votato il sì a Mirafiori e non accusato di essere servo dei padroni». Il discorso di Rosso cita anche un articolo del Giornale per richiamare l’attenzione sui rischi che corrono le aziende anche liguri. Raffaella Della Bianca fa l’esempio tedesco dove solo il 7 per cento delle aziende ha un contratto nazionale e ricorda come «certa politica sia troppo scollata dalla realtà». Niente da fare, neppure Gino Morgillo riesce a richiamare la semplicità dell’obiettivo della mozione, che è quello di fare semplicemente degli incontri, dei confronti. La Lega con Edoardo Rixi ritiene addirittura che «i contratti nazionali siano un’ingiustizia perché equiparano tutti i lavoratori d’Italia che invece lavorano in condizioni diverse». Tanto che «molti operai hanno abbandonato la sinistra e scelto proprio la Lega per farsi rappresentare».
Irremovibili i compagni, Saso abbandona il fioretto per rilevare come «per fortuna questa maggioranza con questa mozione sia solo chiamata a fare parole, perché se si trattasse davvero di fare i conti con aziende al collasso sarebbe tragica». Così si va alla conta. E arriva la sorpresa. La mozione non passa, ma di poco. Finisce 13 a 18, perché Marco Melgrati del Pdl, che pure aveva chiesto regolare congedo, prova ad arrivare ma entra in aula quando si è già votato. Ma soprattutto perché il centrosinistra è spaccato. Al momento del voto escono dall’aula Armando Ezio Capurro e Massimo Donzella, cioè i consiglieri della lista Burlando, i fedelissimi di Claudio.

E Marco Limoncini dell’Udc, che lascia solo il suo leader Rosario Monteleone, fedele al suo ruolo di presidente del consiglio regionale indicato dalla maggioranza e quindi anche fedele al patto con la sinistra più intransigente. Al muro di Genova manca qualche mattoncino. E Burlando in persona evita di assistere alla sua costruzione.

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