Una Quadriennale "Fantastica" fra corpi, ragni e memoria

La rassegna al via: quasi duecento lavori raccontano il nuovo millennio

Una Quadriennale "Fantastica" fra corpi, ragni e memoria

C'era bisogno di una Quadriennale così, ché l'arte contemporanea, e quella italiana in modo particolare, è spesso sfuggente, per non dire inconsistente (colpa, va detto, anche di un mercato internazionale che consuma voracemente e passa ad altro). E invece vale la pensa fermarsi, mettere qualche punto fermo e lasciarsi stupire dal tanto, dal vario e dal bello che si scopre: è davvero Fantastica come l'aveva intitolata e immaginata il presidente Luca Beatrice questa diciottesima edizione della Quadriennale d'arte, aperta al pubblico da oggi fino al 18 febbraio, al Palazzo delle Esposizioni di Roma. Le dimensioni sono quelle di una mini-biennale: 54 artisti coinvolti, tutti viventi (sedici under 35: la meglio gioventù creativa c'è) per 187 opere disseminate su circa duemila metri quadri espositivi. Anche gli investimenti non difettano: la Fondazione La Quadriennale di Roma partecipata dal Mic, dalla Regione lazio, da Roma Capitale, dalla Camera di Commercio di Roma ha potuto contare su un budget di due milioni e mezzo di euro (un quarto del quale coperto da soggetti privati, tra cui Intesa Sanpaolo, main sponsor della mostra).

Per capire quel che è successo e quel che sta succedendo all'arte italiana dal Duemila a oggi in fondo, un quarto di secolo la Quadriennale si è affidata allo sguardo di cinque curatori: Luca Massimo Barbero, Francesco Bonami, Emanuela Mazzonis di Pralafera, Francesco Stocchi e Alessandra Troncone che hanno concertato, seppur suddivisa in cinque sezioni, una esposizione "summa", cioè superiore alla somma delle parti. Controcampo doveroso ma affatto nostalgico, al primo piano, il progetto di mostra storica curata da Walter Guadagnini sulla Quadriennale del '35, che fu enorme con 770 artisti e 1761 opere e voluta dallo stesso Mussolini, presieduta da Bottai, concertata da Cipriano Efisio Oppo, pittore e deputato. C'erano i maestri (Morandi, de Chirico), gli sperimentatori (Regina), c'erano l'arte di propaganda romana e gli astrattisti milanesi outsider.

Ma torniamo al pian terreno, che da oggi è impreziosito dall'allestimento dello Studio Brh+ di Marco Rainò e Barbara Brondi: perdersi, forse, fa parte del gioco ed è interessante seguire i dialoghi e le possibili interconnessioni tra le cinque distinte sezioni. L'installazione gagliarda di Giulia Cenci, sempre più brava con le sue sculture, ci accoglie all'ingresso: è tra i nomi più significativi della "scuderia Bonami" che "acchiappa foto" al primo sguardo. Il curatore ha offerto ai 12 artisti da lui chiamati, tutti under 50, "una stanza tutta per sé" per ragionare sul tema della memoria. La nostra memoria è piena, pienissima, dice Bonami: meglio fare spazio (convincenti i lavori di Jem Perucchini e Lorenzo Vitturi).

La sezione Bonami si è presa il centro del percorso, ma non tutta la scena. Proseguendo, Luca Massimo Barbero ci provoca sul tema dell'autoritratto (a modo suo, per nulla didascalico) con un contrappunto di opere di straordinaria diversità (le sculture naturali di Gianni Caravaggio, quelle quasi concettuali di Vedovamazzei, la pittura intensa di Emilio Gola, la fotografia astratta di Luisa Lambri). Una mostra teatrale, da gustare in silenzio cercando punti di vista laterali. Il progetto curato da Alessandra Troncone (Il corpo incompiuto) si concentra invece su un tema di stretta attualità e presenta opere che mettono al centro il corpo, sia esso umano, animale, meccanico, ibrido con alcuni esiti particolarmente riusciti (i dipinti di Iva Lulashi e le sculture di Diego Cibelli e Camilla Alberti). Anche Emanuela Mazzonis di Pralafera sceglie un focus preciso: il suo Tempo delle immagini presenta riflessioni a densità variabile sul ruolo della fotografia nella nostra vita. Struggenti le composizioni di Jacopo Benassi, originali le ricerche tecniche di Linda Fregni Nagler e di Andrea Camiolo, su tutti spicca il lavoro originale sull'immaginario digitale firmato da Teresa Giannico.

Il progetto curatoriale di Francesco Stocchi, dichiaratamente Senza titolo, una sorta di collettiva nata da tempo realmente condiviso tra nove artisti molto diversi tra loro per biografia e stile, è quello che meglio riassume la "fantastica poliedricità" di questa Quadriennale: personalità abituate a lavorare in solitaria hanno trovato un fil rouge (letterale) che potesse tenere insieme tutto, dai lavori di Adelaide Cioni a quelli di Martino Gamper solo per citarne un paio, con Arcangelo Sassolino a regalarci il simbolo di questa Quadriennale: Hunger, "fame" è un enorme

ragno meccanico che si muove grazie a un meccanismo idraulico a pressione le cui zampe si aprono e si chiudono, afferrano e lasciano. Soprattutto, lasciano a terra un segno. E non è forse questo ciò che l'arte dovrebbe fare?

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