Per qualcuno sono divi per altri dei palazzinari Di certo sono strapagati

A metà strada tra il palazzinaro e il divo di Hollywood, l’archistar guadagna come queste due professioni messe insieme. Cifre roboanti che spesso finiscono per fare notizia, quanto l’eccentricità dei progetti. L’ultima da questo fronte è la richiesta del governatore Roberto Cota alla Corte dei Conti di «andare a verificare la congruità delle parcelle» versate a Massimiliano Fuksas: 22,5 milioni di euro su una realizzazione che alla fine ne costerà 219.
Ma la super-parcella a Fuksas non è un caso isolato. È stato calcolato che, in generale, la firma di una archistar alza da sola del 15 per cento il costo complessivo di un progetto, senza per questo dare ritorni sicuri sul valore dell’edificio. Un’incidenza dovuta quasi soltanto, più che a un egregio lavoro di matita e righello, alla ben gestita presenza dell’archistar sui mass media. Un trucco che a volte scopre se stesso nel peggiore dei modi: è accaduto per esempio a Santiago Calatrava, l’archistar del quarto ponte sul Canal Grande a Venezia, che per farsi pubblicità «regalò» al Comune lo studio di fattibilità, per poi «incamerarsi» il progetto esecutivo (parcella 475mila euro più 91.800 di consulenza architettonica più 67mila di consulenza tecnica). Nonostante la supervisione di Calatrava, il costo complessivo del ponte passò da 6,7 a 11,3 milioni di euro, con contrattempi di ogni genere: i lavori si chiusero in sei anni anziché in due e mezzo, per la non prevista «prova in bianco» si spesero 243mila euro e il monitoraggio del ponte, si dice, costa ancora un milione di euro l’anno. Eventuali aumenti work in progress della parcella di Calatrava non ci sono pervenuti.
«Fuori mercato» anche il Maxxi di Roma, inaugurato il maggio scorso: il costo per la sua realizzazione è slittato da 50 a 100 milioni di euro, con quattro anni di ritardo sulla conclusione dei lavori. Per l’idea iniziale l’archistar anglo-irachena Zaha Hadid, tra le più altere e glamour disponibili sulla piazza, prese 17 miliardi di vecchie lire, stando ai rumors dell’ambiente. La sua «quota» nei 100 milioni finali è difficilmente calcolabile. La stessa Hadid, insieme a Arata Isozaki e Daniel Libeskind, partecipa anche a CityLife di Milano, un enorme progetto per complessivi 2,1 miliardi di euro (erano quattro volte meno all’inizio dei lavori). Il solo Museo di Arte Contemporanea, progettato da Libeskind, costerà 33 milioni di euro: i tre milioni in più rispetto alla cifra tonda, a quanto si dice, andranno alla celebre archistar. Isozaki è anche il progettista della contestatissima e mai realizzata «pensilina» in acciaio e pietra degli Uffizi di Firenze: la parcella per la mancata esecuzione del lavoro, si dice 850mila euro, pare l’abbia intascata lo stesso. Milano è stata anche teatro, l’aprile scorso, di un’altra «storica» controversia tra Comune e archistar di riferimento, in questo caso Renzo Piano. Su desiderio del direttore di orchestra Claudio Abbado di «avere più verde in città», Piano si era messo a disposizione per un progetto di piantumazione che comprendeva 90mila alberi. Non si sa come corse presto voce che Piano avesse chiesto per quel progetto la somma di un milione di euro. L’archistar smentì categoricamente, ma il rapporto con il sindaco Letizia Moratti era ormai compromesso. Piano è anche il progettista dell’Auditorium di Roma, il cui costo di realizzazione è lievitato diverse volte prima della fine dei lavori, quasi a voler sfidare gli infiniti costi spuntati come funghi intorno al Museo dell’Ara Pacis ideato da Richard Meier, sempre nella Città Eterna.

Proprio qui, l’aprile scorso, si è tenuto un memorabile convegno, nell’ambito del Progetto Millenium, a cui hanno partecipato Calatrava, Fuksas, Meier, Hadid, Peter Calthorpe, Richard Burdett, Léon Krier. Anche qui, non è mancata la polemica: pare che il costo di questi Stati Generali delle Archistar, sostenuto dal Comune di Roma, arrivino a 350mila euro. Per due giorni.

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