«Ma quale caveau? Non ho nulla» Tutte le balle del cavalier Pinocchio

Il Cavaliere del lavoro Calisto Tanzi è un bugiardo. Adesso lo si può dire ufficialmente e senza tema di smentita. Che le sue lacrime in aula, nei processi di Milano e di Parma, fossero lacrime di coccodrillo lo si poteva anche sospettare. Che le accorate dichiarazioni di resipiscenza fossero solo l’ennesima presa in giro al popolo dei truffati lo si poteva dubitare. Ma la scoperta del tesoro nascosto nel caveau di Stefano Strini, genero del fondatore di Parmalat, taglia definitivamente la testa al dilemma. Tanzi è un bugiardo. La caratteristica è peraltro strettamente incrociata ad altri vizi, perché le bugie tanziane hanno avuto in questi anni come principale, essenziale obiettivo salvare il bottino. E forse le sorprese non sono finite.
«Non possiedo nessun caveau», aveva detto Tanzi pochi giorni fa, quando l’intervista di Report a un suo ex guardaspalle aveva riaperto ufficialmente la caccia al suo tesoro. La bugia è durata poco, stavolta. Ma su questa bugia Tanzi si è arroccato a lungo, fin dai giorni del dicembre 2002 in cui il suo impero si sgretolava. Davanti alla scoperta del buco più incredibile della storia imprenditoriale italiana, Tanzi ha sempre detto «il tesoro di Parmalat non esiste». Non ho rubato nulla, il disastro di Collecchio è figlio solo di un dissesto finanziario causato dai miei manager con la complicità delle banche. «Non avevo più il timone della mia barca», così Tanzi riassumeva il suo crepuscolo di imprenditore.
A Collecchio molti sapevano della passione quasi compulsiva di Tanzi per le opere d’arte. Al culmine della sua grandeur, Tanzi comprava qualunque cosa gli passasse sotto tiro, con quattrini prelevati dalle casse del gruppo. Eppure dopo il crac restituì al nuovo amministratore di Parlamat, Enrico Bondi, solo un paio di tele dal valore non eccelso. Altri quadri glieli trovò la Guardia di finanza, ma Tanzi riuscì a farseli ridare giurando che appartenevano alla famiglia d’origine della moglie, una dinastia di facoltosi farmacisti.
Ora salta fuori il piccolo, stupefacente Louvre accumulato e nascosto da Tanzi. È una buona notizia per le parti civili dei processi ancora in corso, le vittime dei bond spazzatura che si erano ormai quasi rassegnate a vedere le loro richieste di risarcimento accolte dai giudici ma rese vane dallo status di nullatenente beffardamente ostentato da Tanzi. Adesso i Van Gogh e i Monet offrono un primo scoglio cui aggrapparsi. È uno scoglio piccolo, nel mare dei debiti di Parmalat. Ma lo sbugiardamento di Tanzi sulla faccenda dei quadri potrebbe far saltare il tappo sulle altre bugie del cavaliere di Collecchio. A partire dalla madre di tutte le bugie, quella sul viaggio a Quito, in Ecuador, compiuto in fretta e furia appena prima di venire arrestato.
«Sono andato in Ecuador perché da lì è difficile venire estradati - è sempre stata la versione di Tanzi - poi ci ho ripensato e sono tornato indietro». Peccato che proprio in America Latina ci fosse il vero buco nero dei bilanci di Parmalat.

Gli inquirenti hanno sempre sospettato che la gita a Quito servisse a fare sparire in extremis le tracce del bottino. Che è ancora lì, da qualche parte, al riparo dalle rogatorie e appena sfiorato dalle indagini parallele degli 007 della Kroll arruolati da Bondi. Ci vorrà un altra puntata di Report?

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