Ma quale «famiglia»? Sedici separazioni in 16 anni

di Tony Damascelli
Sedici anni, sedici separazioni. Eppure quella dell’Inter viene chiamata una «famiglia». Mai vista una cosa simile nel resto del calcio italiano: si vogliono tutti un bene dell’anima, il gruppo è unito, il presidente è un mito, la storia è grandiosa. Eppure dal diciotto di febbraio dell’anno millenovecentonovantacinque, data di insediamento del presidente Moratti Massimo, la panchina interista è la conferma imbarazzante del precariato, sostantivo che non rientra nella propaganda politica di Moratti e signora.
Rumeni, argentini, brasiliani, inglesi, portoghesi, spagnoli, ovviamente italiani, Bianchi, Suarez, Hodgson, Castellini, Simoni, Lucescu, di nuovo Castellini, di nuovo Hodgson, Lippi, Tardelli, Cuper, Zaccheroni, Mancini, Mourinho, Benitez, Leonardo, partenze e arrivi ala stazione di Appiano, una bella comitiva, una «famiglia» milionaria, amori estivi, tormenti autunnali, delusioni invernali, scocciature primaverili. Un circolo di eroi, alcuni insoddisfatti, sopravvalutati, sopportati, supportati. Senza contare gli allontanamenti di un gruppetto di dirigenti, da Mazzola a Visconti di Modrone, a Oriali, tralasciando gli altri, Julio Velasco non vi dice nulla?
In altre città, per altri club, per altri cognomi, il comportamento della critica, scritta, radiofonica, televisiva, sarebbe stato feroce nei confronti di chi non ha saputo e non sa gestire le criticità se non con l’uso dei soliti aggettivi «fantastico», «simpatico». Moratti non è un mangia allenatori, il paragone con Maurizio Zamparini è sbagliato; il presidente del Palermo ha il coraggio, o la faccia tosta, di licenziare i suoi allenatori e direttori sportivi, non gioca con le bugie, anzi smaschera la verità senza mezze parole.
Massimo Moratti non licenzia nessun dipendente, li conferma, li accarezza, li esalta, però, in verità, si è già rotto le scatole di questo e di quello, fino a far scoprire che il medesimo dipendente ha ormai chiuso la valigia e cambiato ditta. Immaginate il trattamento che sarebbe (ed è stato) riservato a Preziosi o Della Valle, a De Laurentiis o Lillo Foti, a Lotito o Rosella Sensi: incapaci, dilettanti, incompetenti, ingenui, fallimentari. Il presidente dell’Inter, invece, dopo il periodo goliardico delle barzellette, è entrato nella fase ieratica, non siamo ancora alla benedizione delle folle ma qualunque atto trova una giustificazione, un avvocato difensore, un «moratti ambassador», colpe e responsabilità ricadono sempre sugli altri, sull’allenatore che ha ambizioni diverse, che non è entrato nello spirito del gruppo, che non garantisce il gioco, che è troppo severo, che è giusto vada a cercare altri stimoli.


Sedici separazioni non possono essere tutte addebitate al partner traditore. Può darsi che in «famiglia», ogni tanto, chi siede a capotavola abbia qualche colpa. Se non tutte. Si può dire? Si può scrivere? In fondo, a pensarci bene, mi sembra molto fantastico, simpatico e anche un po’ kafkiano.

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