Ma quali colpe dello Stato: coi Borboni stavano peggio

Gilberto Oneto ritiene che le scuse presentate dall’Italia alla Libia per le nefandezze del colonialismo siano state giuste. Sono in complesso d'accordo: anche se mi pare che gli anticolonialisti duri e puri glissino troppo su un fatto non irrilevante. Il fatto cioè che quasi tutti gli Stati africani di nuova indipendenza sono stati assoggettati a regimi ben peggiori di quelli coloniali, e che gli Stati non soggetti al dominio europeo-come l’Etiopia fino all'aggressione italiana-avevano strutture feudali e la pratica infame della schiavitù.
Ma dalla sua adesione al mea culpa berlusconiano Oneto prende spunto per suggerire all'Italia, dopo tante «omissioni e menzogne»,un atto di contrizione nei confronti di coloro che l’Unità la soffrirono. Ossia i vinti: i borbonici, i preti, i briganti su cui si avventò la furia piemontese.
Ciascuno ha diritto alle proprie idee. Ma poiché Oneto presenta questa richiesta e proposta - almeno così mi sembra - come un sasso nello stagno storico e istituzionale, voglio sommessamente ricordagli che da gran tempo a questa parte - e soprattutto in vista dei 150 anni dall’Unità - l’attacco al Risorgimento è diventato una moda. Del Risorgimento si parla, in pratica, solo per parlarne male, e dei Borboni - sono stato bacchettato, bisogna dire Borbone - per vantarne i fulgidi meriti. Potrei citare decine di saggi che già nei titoli hanno voluto smentire le glorie del Risorgimento, riducendone i protagonisti al rango di pagliacci o di malfattori; e al contrario esaltando il Regno delle due Sicilie come un modello di amministrazione, e il Sillabo come documento progressista. Da queste impietose diagnosi anche un genio come Camillo Benso conte di Cavour esce distrutto e Franceschiello esaltato.
Chiunque si sia occupato del Risorgimento sa delle molte ombre che l’offuscarono. Gravi. Anche se di sicuro non più gravi di quelle che offuscarono la Rivoluzione francese o la nascita degli Stati Uniti. Il fiume della storia è raramente limpido. Meno che mai lo è durante rivolgimenti che sconvolgono l'ordine costituito.
Ma avere rispetto per gli sconfitti non significa volerli indicare come esempio di buongoverno. Furono il contrario. Soprattutto furono l’espressione di una società e di una concezione dei rapporti sociali obsolete. Si è tanto discusso per il mancato inserimento nel progetto di Costituzione europea d’un riferimento alle radici cristiane. Mi associo alle critiche. Quelle radici sono profonde. Ma anche in assenza delle sue radici liberali l’Europa di oggi è inconcepibile. Una rivalutazione dell’ancien régime è anche una sconfessione del presente democratico. Nei modi e con le espressioni utilizzate per questo revisionismo duro, è preso a calci il momento più alto del nostro passato nazionale. Ebbe, quel momento, del miracoloso.

È vero, l’Unità d’Italia fu costruita su tre vittorie straniere, Solferino, Sadowa e Sedan. Anche per la sua irripetibilità dobbiamo tenercelo caro, quel momento. Senza indulgenze retoriche deamicisiane o stentoree declamazioni fascistoidi, ma anche senza mistificazioni reazionarie.

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