Quando anche Bersani chiese aiuto a Bertolaso

Adesso attacca la Protezione civile, ma da ministro tentò di farle organizzare il vertice dell’Energia. Prima avanzò le richieste tramite Enrico Letta, poi con il capo di gabinetto. Mancavano i requisiti di legge ma il dirigente Ds non si diede per vinto

Quando anche Bersani chiese aiuto a Bertolaso

Gian Marco Chiocci
Massimo Malpica

RomaPrima di lapidare «San Guido» qualcuno dovrebbe andare a rileggersi le sacre scritture. In particolare il riferimento al Vangelo, secondo Giovanni, condensato nel precetto: «Chi è senza peccato scagli la prima pietra». Già, perché il primo a lanciare gravissime accuse all’indirizzo del capo della Protezione civile (arrivando a chiederne le dimissioni) dovrebbe essere l’ultimo a parlare. Suona infatti come una bestemmia la lotta politica ingaggiata da Pierluigi Bersani nei confronti del sottosegretario e della struttura da lui diretta. Bestemmia non certo per la «santità» di Bertolaso, ma semmai per una questione di coerenza. Posto che proprio Bersani, quand’era ministro, le tentò tutte, ma proprio tutte, per convincere Bertolaso a includere tra i «Grandi Eventi» una manifestazione che a lui, quale responsabile del dicastero dello Sviluppo economico, interessava in modo particolare.

Sponsorizzò l’evento coi vertici del governo, scrisse personalmente, a maggio del 2007, all’allora sottosegretario Enrico Letta, fece scrivere addirittura dal suo capo di gabinetto. Ci provò anche per vie indirette. Non si arrese nemmeno quando Guido Bertolaso rispose alla richiesta arrivata tramite Letta, con una missiva dell’inizio di giugno del 2007, in cui tra le righe traspariva una certa seccatura, dicendo che non se ne parlava nemmeno di includere il 20º congresso mondiale dell’Energia, in programma a novembre di quell’anno, alla nuova fiera di Roma, fra i Grandi eventi, semplicemente perché non se ne ravvisavano i requisiti. Si sarebbe dovuta infrangere la legge, che per dichiarare il congresso «grande evento» pretendeva «l’assoluta necessità di prevedere una norma derogatoria» per «consentire utilizzo di mezzi e poteri di carattere straordinario e urgente». Ma non c’era molto di straordinario e urgente, spiegava nero su bianco il capo della Protezione civile, aggiungendo poi che «non sembra sussistere» nemmeno «l’esigenza di porre in capo a un unico soggetto il trasferimento di eventuali risorse finanziarie occorrenti per l’attuazione di tutte le iniziative».
Insomma, «considerati la stima del numero dei partecipanti» e «la previsione del pubblico che vi prenderà parte», il congresso «spinto» da Bersani come «grande evento», tagliava corto Bertolaso in chiusura di lettera, era decisamente troppo piccolo, e «tale da poter essere gestito dagli organi competenti in via ordinaria».

Tutto chiarito? E no, perché il primo agosto dello stesso anno il capo di gabinetto di Bersani, Goffredo Zaccardi, scrive ancora a Bertolaso, replicando la richiesta, illustrando una volta di più il prestigio del Wec, «uno dei principali forum» per «il dibattito energetico mondiale». E, praticamente ignorando del tutto la lettera con cui Bertolaso aveva già spiegato i motivi per cui non riteneva di dover incardinare il congresso come «grande evento», conclude bissando l’istanza (e allegando la prima lettera di Bersani), con un giustificativo aggiuntivo: la sicurezza. «In considerazione della rilevanza dell’evento - scrive il capo di gabinetto di Bersani - al fine di garantirne la miglior riuscita e, al tempo stesso, i relativi aspetti di sicurezza, si ribadisce la richiesta, già formulata dal ministro, che il 20° congresso mondiale dell’energia venga dichiarato “Grande evento nazionale”».

E invece niente. Il dipartimento di Protezione civile risponde ancora una volta picche per le vie brevi. Normale dialettica tra istituzioni, verrebbe da dire. Però poi Bertolaso finisce nella bufera giudiziaria che si abbatte da Firenze sugli appalti per il G8 alla Maddalena, e salta fuori Bersani a chiederne la testa. Il primo a pensar male è stato proprio il capo della Protezione civile, che ieri nell’intervista al Giornale ha dichiarato di voler dire «due o tre cose» al segretario del Partito democratico. Che magari non ha tra i «moventi» del suo attacco politico al sottosegretario quel vecchio «no». Ma che, visto il precedente, potrebbe evitare di sparare a zero sulle «procedure discrezionali» previste per i grandi eventi. Proprio quelle per cui lui ha speso - invano - inchiostro e pressioni, meno di tre anni fa.
E invece, a scorrere il Bersani-pensiero degli ultimi giorni, pare che il numero uno del Pd abbia fatto una scelta diversa. Il presupposto è il solito garantismo per cui «le eventuali responsabilità penali le stabilirà la magistratura» e «nessuno si mette a fare il giudice». Salvo che poi giudizi e pregiudizi Bersani non li lesina di certo: «C’è una responsabilità oggettiva, un andazzo che non è accettabile, bisogna tirare le somme», spiegava il segretario venerdì scorso a Pisa. Per poi lanciare un attacco alla formula dei «grandi eventi», quelli appunto a cui lui da ministro guardava speranzoso. «C’è da dire che queste procedure discrezionali danno luogo a rischi enormi. Il governo sta proponendo in questi giorni di triplicare queste procedure. È un’assurdità», sibila Bersani. Spingendosi quindi ben dentro il giudizio di merito: «Non possiamo chiamare emergenza i Campionati di nuoto o il piano carceri, perché poi succedono queste cose».

E il congresso sull’energia? Memoria corta? Può darsi, ma di certo Bersani dal giorno dell’arresto di Balducci e degli altri dirigenti, proprio sul punto dell’eccessivo allargamento dei «grandi eventi», non ha mancato di tirare siluri a Bertolaso. «Dobbiamo sapere se il G8 e i mondiali di nuoto e ogni cosa sono un’emergenza, e in nome di questo si può venir meno ai processi di trasparenza. Io dico no», diceva mercoledì scorso l’uomo che voleva il «grande evento» per un convegno che registrò poche migliaia di visitatori. E le dichiarazioni del segretario del Pd di adesso paiono copiate proprio dalla risposta negativa del capo della Protezione civile di allora.

«Vogliamo di nuovo andare per questa strada, chiamando emergenza quel che di normale accade in un Paese, per derogare a meccanismi trasparenti?». Ma quando lo diceva Bertolaso, chissà come mai, a Bersani non stava bene per niente.

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