Quando il comandante Bisagno rifiutò di sottostare ai comunisti

Quando il comandante Bisagno rifiutò di sottostare ai comunisti

È noto che anche durante la guerriglia i rapporti tra Bisagno, comandante della «Cichero» e il Pci fossero sempre piuttosto tesi e mancò poco che non si arrivasse a un conflitto armato. Infatti Bisagno cercò in tutti i modi di opporsi alle manovre dei commissari che stavano ormai minacciando la stessa struttura militare delle formazioni e intensificò, al contempo le sue già frequentissime visite ai distaccamenti, nel corso delle quali riusciva sempre a polarizzare l’attenzione dei partigiani per il suo personale carisma e provò a intervenire con documenti che non sempre, purtroppo riuscirono a superare lo sbarramento che il Sip (servizio informazione polizia, del tutto asservito agli interessi del Pci) gli aveva costruito attorno. Bisagno arrivò persino a denunciare apertamente incapacità di alcuni commissari e comandanti, compreso lo stesso Miro (Victor Ukmar uno slavo fanatico comunista e di dubbia moralità sia militare sia privata) e a condizionare la sua permanenza nella «Cichero» alla decisione da parte comunista di sospendere l’opera di proselitismo, che si stava facendo pesantemente in seno alle formazioni. A questo precipuo scopo, con una puntuale ed articolata lettera Bisagno rende noto a tutte le formazioni da lui dipendenti che in seguito 1) all’intensa propaganda comunista, che contrariamente alla sua volontà, viene fatta nei distaccamenti da lui dipendendenti, allo scopo di attirare uomini verso un partito senza che questi abbiano la possibilità di conoscere le idee degli altri partiti, contribuendo così ad ingannare dei giovani che tutto sono disposti a dare per una libertà, che già si cerca di compromettere, 2) alla responsabilità che lui sente di fronte a parecchi uomini, che sono rimasti nella formazione solamente per fiducia nelle sua persona, colpiti a suo tempo dalla propaganda di partito e da lui stesso invogliati a rimanere, assicurando la sua collaborazione, affinché fosse spenta ogni propaganda di partito, 3) sentito il dovere di italiano che deve anche pensare affinché gli uomini si formino nell’idea di italianità e non di comunista o altro partito, 4) dopo aver chiaramente e più volte esposto lealmente ai comunisti i sopra nominato commi, 5) dopo aver riscontrato che i comunisti mandano a sua insaputa e quindi slealmente degli uomini a fare il giro di propaganda del partito nei distaccamenti, 6) dopo aver constatato personalmente che gli è stato messo al fianco un certo Dino, (Antonio Mussi, noto comunista sedicente apolitico con il compito di studiare le idee e le intenzioni del Bisagno stesso, quando questi non ha mai tenuto nascosto nulla e sempre agito sinceramente, 7) notato il fatto che ogni qualvolta giunge in formazione un comunista ha sempre pronto il posto di commissario o altro incarico di fiducia, 8) rilevata la puerile autorità che gli uomini del Sip manifestano, 9) rilevata nelle formazioni a mancanza di quella omogeneità e fiducia nei comandi che esisteva nei primi tempi è dovuto al fatto di aver nominato tanti comandanti e commissari che i partigiani non riconoscono.


Bisagno a questo punto pone delle condizioni, tra le quali: che venga anche egli messo al corrente di qualunque iniziativa nel campo politico e tale iniziativa non possa essere emanata se non di comune accordo con lui, non può riconoscere il comando di Miro, chiede che alcuni uomini che egli ha riconosciuto non essergli fedeli siano allontanati dalla formazione, solamente il 40 per cento dei commissari politici possono essere comunisti.
Le direttive di Bisagno provocarono uno scompiglio e diedero alla fine l’avvio al subdolo smembramento della gloriosa «Cichero».

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