Guido Mattioni
da Milano
Letà può giocare brutti scherzi alla memoria. Anche a Massimo DAlema. Specie se letà in questione non è la sua, ma quella di pensionamento degli italiani. Ieri, infatti, con il rilievo da prima pagina che va riconosciuto a un leader, il ministro degli Esteri è intervenuto sullUnità affrontando il tema che sta dividendo la maggioranza: la riforma delle pensioni. «Andare in pensione a 57 anni è aberrante», ha scandito lesponente dei Ds aggiungendo che soprattutto non gli pare corretto che «chi va in pensione a 57 anni abbia la stessa retribuzione di chi ci va a 77». DAlema ha anche giocato di sponda a favore del suo collega di partito Cesare Damiano, ministro del Lavoro, che nei giorni scorsi si era detto favorevole alluso di disincentivi e incentivi: i primi a carico di voglia anticipare la quiescenza rispetto ai 60 anni previsti dalla legge Maroni; i secondi a favore di chi intendesse invece continuare a lavorare.
Ma DAlema, a volte dimentica. Dimentica che nel corso di anni non poi così lontani, quelli del secondo governo Berlusconi, la sua posizione in materia è stata invece, e a più riprese, di tono decisamente differente. «Io sono per il sistema contributivo pro rata e non per un innalzamento delletà pensionabile o per il ricorso a incentivi», aveva dichiarato il 29 agosto 2003 a Rimini (stesso anno in cui a Genova, in altra occasione, parlando della riforma Maroni laveva definita senza mezzi termini «inapplicabile, rozza e punitiva»). Quel 29 agosto 2003, comunque, DAlema era a un dibattito al Meeting di Cl con lallora vicepremier Fini. Confronto nel corso del quale aveva ribadito il suo «scetticismo» nei confronti di disincentivi e incentivi. Proprio ciò che ora, ventilato da un ministro ds, gli appare invece ideale.
Poi erano passati i mesi e la discussione nellallora maggioranza di centrodestra sul tema pensioni era proseguita con un nuovo testo presentato da Maroni, che aveva lasciato però ferma la necessità alzare la soglia delletà. «È una proposta iniqua e inaccettabile. Il governo colpisce ancora a casaccio», aveva ribadito tetragono DAlema il 24 febbraio 2004. Mentre il 3 novembre 2005 era addirittura sbottato. «Quando si parla di età pensionabile, meno si parla meglio è (proprio quello che lui non ha fatto ieri, ndr)», aveva detto in uno dei suoi tipici scatti di stizzita insofferenza riferendosi a Silvio Berlusconi che, di fronte alla platea della Federazione tabaccai, aveva mostrato interesse verso il modello tedesco, con una soglia a 68 anni. «Normalmente, quando il capo del governo lancia idee di questo genere - aveva ironizzato lesponente ds - il primo effetto che si ha è laumento delle domande per andare in pensione». Guarda caso, più o meno unuscita dello stesso tenore, la sua, di quella pronunciata lo scorso weekend a Villa dEste da Giulio Tremonti. Uscita che allex ministro dellEconomia è però costata, da parte di un centrosinistra schierato compatto, quasi una lapidazione sulle sponde del lago di Como.
E via di questo passo, cioè contrario a qualsiasi ipotesi di innalzamento delletà pensionabile, Massimo DAlema lo è rimasto - va ricordato - fino a pochi mesi fa, esattamente fino al 26 marzo di questanno, ultima data conosciuta in cui egli si sia lasciato andare a una critica esplicita nei confronti dello «scalone» introdotto da Maroni e che prevede dal 2008 laumento delletà pensionabile a 60 anni dopo 35 di contributi (a 57 anni per le donne). «Quella che io chiamo legge Maroni (di fatto tale la è, senza che sia lui a chiamarla così, ndr) sarà oggetto di immediata riforma», ha minacciato.
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