Il refrain lamentoso che tanto tedia i lettori non ci appartiene. Però il ferro bisogna batterlo quando è caldo, soprattutto quando la bagarre si fa più aspra. E arriva il momento in cui si deve deporre il fioretto per impugnare la clava. Se ne sono accorti anche altri prestigiosi quotidiani. E hanno scoperto che la fuga dei maxi yacht verso la Francia è inarrestabile. Da mesi il Giornale di Bordo denuncia questa anomalia tutta italiana e punta il dito contro la politica, troppo impegnata a discutere di appartamenti con vista Colosseo o Casinò di Montecarlo. Questione morale, si dice. Giusto! Ma non è forse immorale dimenticare un ddl nel cassetto liquidando la questione con un irresponsabile «ne riparleremo a settembre». Sappiamo tutti come andrà a finire: è il mese delle feste di partito e i politici, si sa, sono festaioli e goderecci. E quindi il ddl sulla semplificazione delle norme per i grandi yacht può attendere. Non importa se in piena estate i francesi fanno affari d’oro e gli operatori italiani stanno a guardare tirando la cinghia. Chissenefrega! Non ci risulta che la Francia sia il Paese dell’illegalità che accoglie criminali ed evasori fiscali. Anche da quelle parti esistono norme che vengono fatte rispettare con rigore, come nel resto d’Europa. Tuttavia sono norme che semplificano la vita a chi vuole godersi una vacanza in mare e alle imprese che vendono e organizzano nei dettagli quel servizio. Ci piacerebbe chiedere a qualche politico, che in un mese guadagna quanto 15-16 operai messi insieme, che cosa ci sta a fare a Montecitorio o a Palazzo Madama. Sui giornali leggiamo di liti, di agguati, di colpi bassi. A destra e a manca (intesa come sinistra), l’un contro l’altro armati. Se a sinistra gridano allo scandalo e bollano il ddl come «decreto salva ricchi», nel centrodestra si aprono altri fronti di conflitto, finalmente in odore di bonifica. Siamo in piena «Orgia del potere», ma è una brutta copia del thriller politico di Costa-Gavras. Nel frattempo l’indotto nautico italiano - refit e repair, servizi, equipaggi e posti barca - cola a picco trascinandosi la lunga filiera delle economie costiere. E se gli esperti hanno azzeccato i conti, non si tratta più di 200-300 milioni di perdite secche. Dicono che probabilmente abbiamo dato un calcio a circa 1 miliardo di euro. Un calcio tanto potente da spedire tutto quel ben di Dio direttamente a Saint Tropez. Vogliamo capire perché il signor Bersani anziché armarsi di elmetto e marciare su L’Aquila per girare la più colossale fiction della demagogia, non vada invece in giro per gli 8mila chilometri di coste italiane a parlare con gli operatori che in qualche modo hanno a che fare con la nautica da diporto e con il turismo nautico più in generale. Si renderebbe conto che le presenze nei porti turistici italiani, a oggi, sono in calo del 60%. Sarebbe il suo normale lavoro. O no? In fin dei conti anche il segretario del Pd guadagna quanto 15-16 operai messi insieme. O forse più. Circa due settimane fa Stefano Picchiotti (Leopard) e Massimo Perotti (Sanlorenzo) ci descrivevano uno scenario tragico: «Confusione e incertezze stanno distruggendo il charter». Come dargli torto? Lo stesso presidente di Ucina, Anton Francesco Albertoni - un suo intervento sarebbe stato sicuramente più soft del nostro - non ha risparmiato energie in questa battaglia. Lui sostiene che l’unica risposta ricevuta è un «assordante silenzio».
Coraggio presidente, c’è sempre un’ultima chiamata prima del precipizio. Facciamola: signori politici, quando avrete smesso di litigare fateci un fischio. Accettiamo anche sms. Non vi costerà nulla. Paga sempre quel fesso di Pantalone.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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