Milano - Francesca Woodman inizia a fotografare a soli tredici anni: scopre l'autoscatto. Sin dall'inizio il corpo diventa veicolo narcista del sacrificio della carne che viene inserita nell’universo delle cose tanto da diventare parte di esse. Luci e ombre, la torsione del collo e il lieve muoversi dei capelli si rendono complici di quest'amalgama che rende il corpo suppellettile dell'ambiente circostante. E' la stessa Woodman a cancellare questo corpo suicidandosi a soli 23 anni. A Milano Palazzo della Ragione ospiterà fino al 24 ottobre la grande retrospettiva dedicata alla Woodman (gallery), sicuramente uno dei talenti più precoci e interessanti della seconda metà del Novecento.
I primi passi nella fotografia Figlia d’arte - la madre Betty è ceramista e il padre George, pittore e fotografo - Francesca Woodman cominciò a lavorare a soli tredici anni di età, con la sua prima macchina fotografica e l’uso dell’autoscatto. Negli anni a venire, ha continuato a usare se stessa come soggetto privilegiato delle sue foto, rappresentandosi sia in contesti domestici, con la predilezione per ambientazioni vintage e decadenti, che in mezzo alla natura, da sola o con amiche, nel vivo di azioni e performance appositamente progettate. All’amica Sloan Rankin, che le domandava perché utilizzasse spesso se stessa come modello, la Woodman rispondeva: "E' una questione di convenienza. Io sono sempre disponibile”. La frase, ironica e schietta, ci aiuta a comprendere da un lato l’aspetto dell’indagine sull’Io e sulla propria intimità che contraddistingueva la sua ricerca, dall’altro la condizione di giovane artista adolescente che negli anni Settanta sosteneva da sola i costi di produzione del proprio lavoro.
Fotografia autobiografica Anticipatrice di tendenze e tematiche che connoteranno l’arte contemporanea negli anni successivi ed erede della tradizione artistica occidentale dell’autoritratto, la Woodman colpì la comunità artistica per la maturità e la coerenza concettuale delle opere che creò in nove anni di intensa attività. Il percorso espositivo segue le orme tracciate dalle sue serie fotografiche più significative, che si identificano con i luoghi dove sono state create e ripercorrono i passaggi essenziali della sua biografia: una ha per scenario Boulder, nel Colorado, datata agli anni della scuola superiore; un’altra riguarda l’intenso periodo di formazione presso la Rhode Island School of Design di Providence; infine, quella che fra 1977 e 1978 venne eseguita a Roma. New York, da una parte, e la natura incontaminata della MacDowell Colony nel New Hampshire rappresentano le fasi estreme della sua opera.
La canzone del cigno All’interno del suggestivo Palazzo è stata ricreata anche l’installazione Swan song (La canzone del cigno), realizzata dalla Woodman a Providence nel 1978 ed esposta per la prima volta in Italia in occasione di questa mostra. Le cinque fotografie di grande formato rappresentano una rottura degli schemi convenzionali che prevedevano di appendere l’opera all’altezza degli occhi. La Woodman progettò l’installazione in modo da collocare le stampe ad altezze variabili, alcune molto in alto e altre all’altezza del pavimento, in funzione del flusso narrativo delle immagini e sfruttando le caratteristiche architettoniche del contesto in un dialogo tra artista e spazio che diventa parte dell’opera. Secondo l'assessore alla Cultura del Comune di Milano Massimiliano Finazzer Flory, l’esposizione curata da Marco Pierini e da Isabel Tejeda riesce a racchiudere in sé "risvolti psicoanalitici, narcisismo, autobiografia, sacrificio di sé". "Sono chiavi di lettura agilmente associate ai lavori di Woodman, eppure la complessità di questo corpus è davvero più ampia - continua l'assessore - i suoi autoritratti prescindono dall’elemento biografico circoscritto, e scavano nella dimensione dell’interiorità pura di tutti noi. Per scomparire fra le cose, per ritrovarsi ancora di più”.
Il rapporto con il corpo Quasi tutta la produzione di Francesca Woodman vive nel rapporto tra il proprio corpo, oggetto e soggetto degli scatti, e il proprio sguardo. Di sé non offre mai alcuna visione idealizzata, eroica, caricata di particolari significati; al contrario, la propria immagine è sempre inserita nell’universo delle cose, come fosse parte di esse. Spesso, il corpo dell’artista si assimila con l’intonaco dei muri, gioca con la propria ombra, compare da porte e finestre, si nasconde tra i mobili e gli oggetti; la luce ne sfalda la consistenza piuttosto che esaltarla, oppure ne tornisce le forme purché siano sempre colte come frammenti, come particolari.
Uno dei tratti caratteristici e ricorrenti della sua cifra espressiva è l’assenza del volto, tagliato dall’inquadratura, o solo nascosto da maschere, dai propri capelli, da una torsione del collo o del busto, e la dimensione performativa, ben evidenziata anche dai pochi minuti dei video girati dall’artista.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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