«La terza carica dello Stato ha il dovere di essere imparziale e super partes». Chi l’ha detto? Il ministro Gelmini dopo lo scontro con Gianfranco Fini a Ballarò? Il premier Berlusconi dopo che il medesimo Fini ha fondato un nuovo partito? No. Sono parole proprio dell’attuale presidente della Camera. Le disse da parlamentare semplice contro l’occupante della poltrona numero 1 di Montecitorio. Era il 13 febbraio 1995 e l’allora presidente si chiamava Irene Pivetti.
La leghista era in una situazione paragonabile al Fini di oggi. Il Carroccio era uscito dalla maggioranza eletta dalle urne e la Pivetti era tra i più agguerriti critici di Berlusconi. Comprensibile che il neoeletto presidente di Alleanza nazionale, rimasto a fianco del Cavaliere, avesse il dente avvelenato.
L’episodio è ricordato nel libro La corsa per il Colle appena scritto dal vicepresidente del Senato Domenico Nania, uno che Fini lo conosce bene. «Se Irene Pivetti non dovesse correggere le dichiarazioni rese al congresso della Lega, dovrebbe prendere in considerazione l’ipotesi di rimettere il mandato di presidente della Camera - tuonò Fini in aula - le sue dichiarazioni sono oggettivamente gravi perché offensive nei confronti di alcuni parlamentari e del leader del partito di maggioranza relativa». Cioè Berlusconi. «I primi li ha definiti traditori, il secondo addirittura come un uomo che non crede nella democrazia o, peggio, che per la democrazia stessa rappresenta una minaccia». Sembra ieri.
«Non vale dire che parlava non come presidente della Camera, perché Irene Pivetti è il presidente della Camera - proseguiva Fini - la sua è stata una evidente dimostrazione di irresponsabilità politica. La terza carica dello Stato ha il dovere di essere imparziale e super partes». Osserva Nania nel libro: «Oggi che Fini è diventato politicamente corretto, ritiene che chi rivesta un incarico di così alto prestigio può tenere il piede in due scarpe, interpretando un ruolo politico fuori della Camera e un ruolo di garanzia all’interno dell’Aula?».
Il doppiopesismo è un brutto vizio della politica italiana. Predicare bene e razzolare male. Gianfranco Fini ha rimproverato a Umberto Bossi di non voler toccare le pensioni perché la moglie Manuela è a riposo da quando aveva 39 anni. Vergogna. Morte ai privilegi. Eppure Fini, quando raggiungerà l’età della quiescenza, godrà di due vitalizi: quello da parlamentare e quello da giornalista, pur avendo lavorato soltanto sei anni. Al Secolo d’Italia ha prestato la sua opera dal 1977 al 1983, poi si è messo in aspettativa e ha dato le dimissioni nel 2007 con 30 anni di contributi.
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