Se ne parla male. Ma se ne parla tanto. Fascismo e nazismo sono evocati con i più svariati pretesti e nelle più svariate occasioni. Erich Priebke, che agli ordini del colonnello Kappler partecipò alla strage delle Fosse Ardeatine, è stato invitato a presiedere la giuria per lelezione di una miss. NellAbruzzo forte e gentile qualcuno ha pensato di ricostruire meticolosamente la liberazione di Mussolini, a opera dei tedeschi, dopo l8 settembre 1943: lo si è fatto, con una vera e propria recita, in quellhotel di Campo Imperatore dove il deposto dittatore fu tenuto prigioniero.
Il fascismo e il nazismo «tirano». Lo sanno i registi e gli attori che ci hanno sguazzato, con esiti a volte eccellenti e a volte deprimenti. Lo sanno gli editori. Per Rizzoli curai a suo tempo alcuni «album» - prevalentemente fotografici ma con un testo abbondante - dedicati a importanti personaggi ed eventi. Quello su Mussolini vendette molto più degli altri. Si depreca, con la fronte aggrottata, il regime liberticida, ma lo si utilizza. In effetti Meuccio Ruini o Ivanoe Bonomi o anche Ferruccio Parri non «bucano» lo schermo della storia e nemmeno quello della televisione. Il Duce invece lo buca, eccome.
Tutto questo spiega esaurientemente la predilezione - nelle librerie, nei palinsesti televisivi, nei set cinematografici - del fascio littorio e della croce uncinata. Ma un paio di cose, in questo filone nostalgico, restano misteriose. Perché mai il nome di Priebke è stato coinvolto in un concorso di bellezza? Il novantenne ex ufficiale delle Ss ha accettato, e non me ne stupisco troppo: questi ultimi anni della sua lunga esistenza non debbono essere molto vari. Ma per quale perversione mentale si è voluto avvicinare una immane tragedia del passato, e il sopravvissuto che abbiamo tra noi, alle futilità del presente?
Secondo interrogativo. È mai possibile che una notiziola minima riguardante Priebke scateni con pavloviana puntualità i toni duna polemica apocalittica, espressi con un lessico che quasi esclusivamente a questa tematica è riservato? Al «caso Priebke» ci dedicammo, Montanelli e io, non per difendere un uomo che aveva accettato dessere, sia pure per rappresaglia, uno spietato boia, ma per sottolineare lingiustizia da lui subita.
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