Quando l’Italia era un’Italietta

Livio Caputo

La polemica non avrebbe potuto essere più aspra. Nella sua chiacchierata di lunedì con i giornalisti a Soci, Silvio Berlusconi ha detto «Grazie a me l'Italia non è più l'Italietta di prima... Io vengo puntualmente consultato su tutte le grandi questioni internazionali... Solo all'idea di vedere uno dell'altra parte sedersi al posto mio con Putin, Blair e Bush mi sento male». Immediata la replica dell'opposizione: «Italietta» ha detto il presidente dei senatori diessini Angius «sarà quella che Berlusconi ci lascerà in eredità». E Franco Monaco, della Margherita: «Si crede Napoleone».
Non è certo la prima volta che si discute se, nei quattro anni e mezzo del centrodestra, l'Italia abbia guadagnato o perduto in influenza rispetto alla Prima Repubblica e soprattutto al quinquennio Prodi-D'Alema-Amato. L'opposizione, facendosi forte anche dei giudizi negativi di una parte della stampa estera (naturalmente di sinistra), sostiene che Berlusconi ha compiuto una serie di scelte sbagliate e, rinunciando a un ruolo-guida in Europa a favore di un rapporto più stretto con gli Stati Uniti, ha compromesso il nostro prestigio internazionale. Peccato per l'Unione che i fatti dicano esattamente l'opposto: dal 2001 ad oggi l'Italia, anche valutando le cose con il senno di poi, ha fatto tutte le scelte giuste, e probabilmente si trova oggi nella posizione più forte dal dopoguerra ad oggi. Vediamo come sono cambiate le cose.
1)Non c'è dubbio che le relazioni personali di Silvio Berlusconi con i leader mondiali siano più solide di quelli dei suoi predecessori. Nessun primo ministro italiano era mai stato invitato nelle residenze private dei presidenti di Stati Uniti e Russia, nessuno aveva avuto un rapporto così armonioso con un premier britannico. Non si tratta solo, come sostengono i suoi detrattori, di «pacche sulle spalle», ma di un rapporto che si traduce in rapporti politici ed economici privilegiati. Le cose non sono andate altrettanto bene con Chirac e Schröder, ma entrambi sono sul viale del tramonto e contano sempre meno sulla scena mondiale.
2)In realtà, la decisione di Berlusconi di sganciarsi dal carro franco-tedesco, di cui l'Italia è sempre stata a rimorchio senza guadagnarci granché, si è rivelata quanto mai tempestiva. Parigi e Berlino stanno rapidamente perdendo la posizione egemonica che avevano nell'Unione, e con la bocciatura della Costituzione europea da parte dell'elettorato francese hanno visto anche tramontare il loro disegno di un'Europa più «politica». Una maggior vicinanza a Londra, e ai nuovi Paesi dell'Est rappresenta oggi una posizione vincente; e lo spettro di un direttorio Londra-Parigi-Berlino, spesso agitato dall'opposizione per criticare il governo, non si è mai materializzato.
3)La scelta di ampliare il nostro raggio d'azione, partecipando in forze al fianco dell'America alle missioni in Irak e in Afghanistan (dove oggi deteniamo addirittura il comando del contingente militare Nato) ha permesso all'Italia di diventare una protagonista della scena mondiale e della guerra contro il terrorismo islamico. È una politica che presenta dei rischi e ha anche degli elevati costi materiali, ma che non mancherà di dare dei dividendi. Siamo considerati, oggi, tra i più affidabili alleati dell'unica superpotenza mondiale, che commetterà anche degli errori, ma che rimane il principale baluardo contro tutte le minacce.
4)La decisione di abbandonare la tradizionale politica filoaraba dell'Italia per una posizione più equilibrata e comprensiva delle ragioni di Israele si è rivelata lungimirante alla luce degli ultimi avvenimenti in Medio Oriente. Abbiamo fatto bene a voltare le spalle ad Arafat e a indurre l'Unione, durante la nostra presidenza, a includere Hamas nella lista delle organizzazioni terroristiche. Lo Stato ebraico, che con il ritiro da Gaza ha rimesso in moto il processo di pace, ci considera oggi il Paese europeo più vicino.
5)Grazie a una combinazione di abilità negoziale, di intelligenti alleanze, di capacità propositiva e di insolita tenacia, abbiamo praticamente vinto la decennale battaglia per evitare che la riforma del Consiglio di Sicurezza propugnata da Germania e Giappone ci relegasse in una posizione secondaria al Palazzo di Vetro. Lo stesso Schröder ha gettato la spugna, e ci sono buone probabilità che l'Onu finisca con l'adottare la formula che l'Italia ha proposto per prima.
Come faccia la sinistra a sostenere che il bilancio sia in rosso è un mistero.

O meglio, si spiega con il solito tentativo di denigrare tutto ciò che ha fatto il governo Berlusconi, anche a costo di nuocere agli interessi nazionali.

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