Quando Leone raccontava "C'era una volta..."

Quando Leone raccontava "C'era una volta..."
00:00 00:00

La regola è aurea: mai farsi spiegare un film dal regista. Sopratutto se il film è un capolavoro mondiale e il regista un maestro assoluto. Distanza, distanza, distanza. Altrimenti il rischio della delusione - o della noia, nei casi migliori - è altissimo. Poi, ovviamente, ci sono immense eccezioni. Esempio preclaro: C'era una volta in America, anno di rara grazia 1984, diretto da Sergio Leone.

Ora, premesso che anche rivedendolo dieci volte (io sono a dodici, di cui otto nella versione extended director's cut con le scene aggiunte senza il doppiaggio italiano) non lo si comprenderebbe completamente, e le ambiguità sono la parte più coinvolgente; un piccolo vademecum estetico-sentimentale al film è il breve scritto che Sergio Leone consegnò come introduzione a un volume di alcuni anni fa (C'era una volta in America: photographic memories, a cura di Marcello Garofalo, Editalia, 1988) e che ora torna - senza le fotografie del set - nel volume a firma di Sergio Leone C'era una volta in America. Storia di un film (Henry Beyle, pagg. 56, euro 30). Leggere Leone che parla del film più suo di tutti i suoi film - e anche l'ultimo, morirà cinque anni dopo - è emozionante. Un «racconto di meta-cinema», è stato definito.

«Potrebbe essere la storia di un'amicizia tra uomini che vissero in un mondo di corruzione e tradimento, tra uomini che vollero vivere e amare sino agli estremi, consapevoli della caducità delle cose e del trascorrere inesorabile e velocissimo del tempo. Ma potrebbe anche essere la storia di un'illusione intitolata C'era una volta un certo tipo di Cinema...». In poche pagine c'è tutto l'universo-Leone, molto più di quanto si trovi nei 252 minuti del film. I tre anni simbolici 1922, 1933, 1968 («Le età di Hoover, del Proibizionismo, della Beat Generation, delle grandi crisi...»), le fughe circolari del tempo, i vecchi miti aggiornati al Nuovo Mondo («La mia America è una terra magicamente sospesa tra il cinema e l'epos, tra la politica e la letteratura...

»), le lezioni del cinema muto e del neorealismo, il sentimento assoluto dell'amicizia virile, e l'idea sublime di «una vendetta compiuta attraverso l'inazione».

Primissimo piano sull'enigmatico sorriso di Robert De Niro nella fumeria d'oppio. Fine.

Commenti
Pubblica un commento
Non sono consentiti commenti che contengano termini violenti, discriminatori o che contravvengano alle elementari regole di netiquette. Qui le norme di comportamento per esteso.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica