Quando Leopardi augurava una "Buona Befana di m..."

Il 6 gennaio 1810, a 11 anni, il poeta scrisse un messaggio ai suoi coetanei. Oggi lo giriamo volentieri a molti genitori. La lettera

Quando Leopardi augurava una "Buona Befana di m..."

Chissà che effetto farebbe, oggi, in una famiglia qualsiasi, vedersi recapitare una lettera come quella che Giacomo Leopardi butto giù a undici anni, il 6 gennaio 1810, firmata La Befana, per fare uno scherzo ai suoi amichetti, figli di Volumnia Roberti, signora intima di casa Leopardi. Grande modernità, grande senso dell’umorismo e straordinario uso della lingua, e anche già grande cultura e neppure così eccezionale all’epoca per un bambino istruito, benché suoni incredibile rispetto all’odierna strafottenza e all’ignoranza.

Una lettera come quella del piccolo Giacomo non solo non saprebbe scriverla un undicenne di oggi ma neppure, a guardare la televisione, saprebbe leggerla un universitario tra gli eletti a rappresentare gli altri, basta sentir parlare gli studenti che protestavano a Annozero, intervistati dalla «ragazza zero», dove tutto si chiama giustamente zero. Per non parlare dei modelli televisivi di successo tra i non impegnati: pupe e secchioni, amici aspiranti cantanti e ballerini, tronisti e rintronati rinchiusi in una casa, famosi e non famosi confinati in un’isola a esibire il proprio vuoto culturale, politico, mentale. Colpa della scuola? Ma nelle case degli italiani quanti libri ci sono, e quanto si parla di libri, e quali? Voi bambini in ascolto: qual è l’ultimo libro letto da mamma e papà? Io che frequento spesso il Bioparco di Roma, perché preferisco stare zitto con gli scimpanzé che parlare con gli umani, talvolta, per sbaglio, incappo nelle famiglie italiane in gita e per esempio sento chiamare gorilla gli scimpanzé e scimpanzé gli orango, padri e madri umani che dovrebbero insegnare qualcosa ai piccini e non sanno neppure leggere una didascalia, ignorando di essere solo un’altra specie di primati dall’altra parte del vetro, senza dubbio dalla parte sbagliata.

E allora, sarà perché i cinquantenni e sessantenni di oggi sono i figli imborghesiti del Sessantotto, quando studiare era considerata un’attività reazionaria? Si attende risposta di intellettuale italiano, di destra o di sinistra, con una qualche soluzione in tasca, ma anche, viceversa, non aspettiamoci niente, soprattutto non aspettiamoci uno stile, non conta più neppure quello. Non quanto contava, per un bambino, un anno prima della lettera della befana, il 26 marzo del 1809, perché lì si ritrova nell’epistolario leopardiano un’altra missiva, stavolta destinata alla madre, dove il piccolo Giacomo si scusa per un breve componimento in latino dedicato al padre, aspettandosi «una critica inevitabile», perché «questa composizione, mi par di sentire, è troppo breve, ed in qualche luogo lo stile è basso. Io non so che rispondere a questa critica, ma la prego di considerare la scarsezza del mio ingegno e a credermi».

Che dire? Buona Befana a tutti voi, e speriamo che codesti figlioli «sieno buoni ma ditegli che se sentirò cattive relazioni di loro, quest’altro Anno gli porterò un po’ di Merda».

E attenzione, il monito vale anche per gli allegri genitori senza libri (anche se temo che, fra grandi e piccini del 2011, troppa ce ne vorrebbe), e in ogni caso «frattanto state allegri, e andate tutti dove io vi mando, e restateci finché non torno ghiotti, indiscreti, somari scrocconi dal primo fino all’ultimo», e soprattutto cercate di prendere il corno lungo, almeno quello.

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