Egregio direttore dott. Lussana, leggendo il suo editoriale intitolato «Quattrocchi e tre narici», rievocativo (purtroppo) di un triste evento per «tutti» noi italiani quale la morte di Fabrizio Quattrocchi, avvenuta per mano di locali «resistenti» (quindi partigiani), mi consenta innanzitutto di ringraziarla per la correttezza, la completezza e la dovizia di informazioni che - come al solito - caratterizzano tutti i suoi articoli, ed in secondo luogo le devo confessare che per un attimo mi sono sentito come smarrito dalla Sua «ricostruzione» della vicenda Quattrocchi/Pericu.
Sono altresì stupito e al contempo meravigliato dalla diversità di comportamento che, pur avendo in comune, politicamente parlando, gli stessi «natali» (leggasi Ds), lo stesso «compito»/ruolo istituzionale (leggasi carica di sindaco), ha visto il sindaco Veltroni adoperarsi tempestivamente per onorare la memoria di Fabrizio Quattrocchi con l'intitolazione di una strada della capitale «arrogandosi» così per primo il diritto di far considerare Fabrizio cittadino italiano, prima ancora che ligure. Mentre, bontà sua, scopriamo che il sindaco di questa città da lei definita «non normale» tiene nel cassetto venti mesi una mozione presentata per l'intitolazione di una strada a Quattrocchi e la sua coalizione politica sortisce agli onori della cronaca dicendo che sono disposti a fare un cippo così come per Carlo Giuliani. Vede direttore, ho riletto quest'ultimo nome per essere certo di aver capito bene e dopo averne avuto la certezza ho cominciato a «vagare» nei ricordi per poter rintracciare gli elementi che accomunerebbero questi due ragazzi e alla fine, oltre alla morte per arma da fuoco, ho trovato un'altra similitudine tra i tre soggetti citati nel predetto parallellismo.
Si! Ha capito bene, tre! Perché fermandomi a riflettere su quello che poteva essere un altro elemento in comune, tutti gli indizi portano al fatto che avessero tutti il volto coperto. Carlo Giuliani il giorno della sua morte indossava il passamontagna per non mostrare liberamente il proprio volto, così come gli assassini, pardon come i «resistenti» iracheni che hanno fatto fuori ammazzandolo il nostro Fabrizio. Fabrizio aveva ormai capito tutto e come si vede dal filmato ha cercato di differenziarsi da costoro per il tramite di quella dignità che lo ha contraddistinto in un attimo, nel più importante di tutti gli attimi della sua vita, in quell'attimo prima di morire come se volesse dire «io non voglio morire da anonimo, voglio morire come sa morire un vero Italiano, a capo scoperto e guardando in faccia i propri carnefici», contribuendo così a donare dignità a quel Tricolore che nel mondo ci differenzia e ci caratterizza. Caro direttore, noi «genovesi» dobbiamo essere grati se i «partigiani» iracheni non ci hanno mostrato il loro volto, altrimenti saremmo stati capaci di trovare i loro nomi e magari avremmo dovuto integrare il nome della via genovese numero 28220 e quindi ritrovarci non più con «corso Aldo Gastaldi» (primo partigiano genovese) ma magari con «corso Aldo Gastaldi & Compagni Irakeni».
Dopo aver constatato il lassismo che ha caratterizzato il «governo genovese» in questi ultimi 20 mesi, mi rimbomba in testa Giorgio Gaber che nella sua celebre canzone titola e dice «io non mi sento italiano» ma dopo la visione delle tragiche immagini che vedono Fabrizio Quattrocchi attore protagonista, ritengo di dover apportare alcune correzioni al suddetto testo e cioè «... mi scusi presidente... questa nostra patria ora (non) so cosa sia...» e diventa d'obbligo arrivare subito all'ultimo ritornello «... per fortuna lo sono»!
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