La commemorazione dei 50 anni dal lancio del primo Sputnik è unottima occasione per elaborare un paio di riflessioni. La prima riguarda la necessità che sia ridotta al minimo, se non soppressa, lingerenza della politica nelle questioni della scienza: una riflessione non peregrina, se solo si pensa allattuale incomoda ingerenza della politica nello studio delle cause dei cambiamenti climatici. Ingerenza culminata, in Italia, con la recente Conferenza nazionale sul clima che, indetta dal nostro governo, è diventata in tutto il mondo ispirazione di ottime barzellette, rendendoci uno zimbello internazionale. La seconda riflessione ci consente di trarre conclusioni sul valore e sui limiti delle imprese spaziali.
Il lancio da parte dei russi del 4 ottobre 1957 e dello Sputnik II appena un mese dopo impressionarono non poco il resto del mondo. AllAmerica, in piena guerra fredda, dovettero trasmettere sconforto e timore insieme; ma dovette rincuorarsi quando, lanno dopo, lanciarono lExplorer, prendendosi una grande rivincita: grazie a esso furono scoperti gli «anelli di van Allen», cinture di cariche elettriche intrappolate sopra lequatore dal campo magnetico terrestre. Come mai gli Sputnik non captarono quelle radiazioni? Il primo non aveva alcuno strumento a bordo. Lo Sputnik II trasportava con sé un registratore a nastro, un radiotrasmettitore e un paio di contatori Geiger: ma il registratore era guasto. Prima del lancio i tecnici se nerano accorti e gli scienziati chiesero a Krusciov di posporre il lancio, ma questi rifiutò: linteresse di immagine, tutto politico, di fare in fretta ebbe il sopravvento su quello scientifico. I politici sovietici, avessero ascoltato gli scienziati, avrebbero potuto evitare al proprio Paese la figuraccia che venne alla luce quando si dovette prendere atto che gli americani scoprirono quel che i russi si erano lasciati sfuggire.
Anche i politici americani non sembra abbiano dato molta retta agli scienziati: non poteva non essere ben chiaro già allora quanto priva di significato fosse qualunque missione di uomini inviati nello spazio. Ma la guerra fredda era anche una guerra di simboli, e se la faccenda degli «anelli di van Allen» ebbe limpatto di una sinfonia di Mozart su un sordo, quella di Yuri Gagarin, primo uomo in orbita, ferì di nuovo lorgoglio americano, inducendo il presidente Kennedy a promettere che entro 10 anni un cittadino americano avrebbe messo i piedi sulla Luna: quella promessa era, in realtà, una sfida ai russi. Non passò un anno che John Glenn andò in orbita attorno alla Terra, preceduto di qualche mese da una scimmietta. Al loro ritorno, entrambi finirono gloriosamente a Washington: la scimmia allo zoo nazionale e Glenn al Senato. Nessuno sembrava rendersi conto che lorbita di Gagarin e di Glenn non distava dalla Terra più di quanto Napoli dista da Milano. E neanche che, nel frattempo, altri lanci - con a bordo robot e non esseri umani - avevano invece, e hanno ancora, grande rilevanza scientifica.
Quando finalmente si mantenne la promessa di Kennedy e si giunse sulla Luna, il trionfo politico fu allapice: lo smacco dei due Sputnik e di Gagarin fu definitivamente cancellato. Ma limpresa lunare, salutata come linizio del capitolo dellesplorazione spaziale di esseri umani, quel velleitario capitolo, in realtà, lo chiudeva.
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