Quando Prodi e D’Alema donavano le chiese a Putin

RomaPrima dell’era Wikileaks definire Vladimir Putin un amico non era disdicevole. Con buona pace della stampa di sinistra - impegnata in questi giorni a fare passare la tesi che la fame di gas dell’Italia sia una novità, un’invenzione per nascondere interessi privati di Silvio Berlusconi, compresa la sua irresistibile attrazione per Mosca - il presidente russo era amico anche dei governi di centrosinistra. Non si sa cosa ne pensassero allora i diplomatici statunitensi, i file di Assange non arrivano così indietro nel tempo, ma a Repubblica che sta dedicando al caso paginate di retroscena, sarebbe bastato riprendere i giornali del 2006 per scoprire che la firma del mega accordo tra Eni e Gazprom, che fa dell’Italia il principale cliente del colosso russo fino al 2035, fu siglato quando al governo c’era l’Ulivo.
E basta sfogliare quelli del marzo 2007, con le cronache del vertice italo-russo di Bari, per ripescare una notizia che dimostra quanto importante fosse il rapporto con Mosca, anche quando al governo c’era una coalizione politicamente corretta. Talmente importante che Romano Prodi e Massimo D’Alema, rispettivamente nei ruoli di premier e ministro degli Esteri, regalarono a Putin una chiesa, quella ortodossa di Bari intitolata a San Nicola. Costruita all’inizio del Novecento con i soldi dei nobili russi, passò all’Italia con la rivoluzione bolscevica. Il 14 marzo 2007, in occasione della visita del presidente russo, fu ufficializzata la decisione di restituirla alla Russia. L’iter, si concluse più tardi, nel 2009, e il consenso fu bipartisan. Prodi disse che la «restituzione» era un indice «della nostra volontà di dialogo tra le religioni». Francesco Rutelli, allora ministro della Cultura e oggi in prima fila nel denunciare l’eccesso di confidenza tra il premier italiano e Putin, parlò di una «prova di saggezza in tempi non facili».
Non è un mistero che dietro la cessione, gesto simbolico molto apprezzato dal Cremlino, più che le motivazioni religiose, ci fosse una realpolitik energetica che mira ad assicurare continuità nell’approvigionamento di gas. Perché l’Italia è un Paese che non ha idrocarburi e quindi ha tutto l’interesse a diversificare il più possibile le fonti.
Quando Eni e il colosso russo Gazprom siglarono l’intesa, Prodi si rivolse a Putin riconoscendo che «grazie anche al tuo sostegno amichevole che segna l’inizio di un’ampia collaborazione tra i nostri Paesi in ampi settori». E indicò l’asse Mosca-Roma, come un modello che gli altri Paesi europei dovrebbero seguire, perché «l’Europa ha bisogno della Russia e la Russia dell’Europa, come la vodka e il caviale». L’inizio di un rapporto di reciproca dipendenza tra i due Paesi fu giudicato in termini entusiastici anche da D’Alema: «Il partnenariato strategico tra Eni e Gazprom permetterà, in prospettiva, una vera e propria integrazione tra il comparto degli idrocarburi italiano e quello russo nel quadro di una crescente interdipendenza e condivisione di responsabilità».
Le cronache di quei giorni danno conto della frequenza con la quale il presidente dei consiglio italiano - Romano Prodi - andava a Mosca: in media una volta ogni cinque mesi. Anche Putin celebrava il rapporto ritrovato con il Belpaese fatto di incontri frequentissimi e di numerose telefonate che avevano rinsaldato i legami, anche personali, tra i due capi di governo.

E lodava l’intelligenza del popolo italiano, «in grado di valutare le prospettive di una collaborazione che ha anche aspetti politici». Manca solo la foto con il colbacco, ma la sostanza della politica energetica italiana era già tutta là, quando al governo c’era la sinistra.

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