Quando il Professore giurava di non tassare i Bot

Pietro Balducci

da Milano

La coerenza, scriveva Oscar Wilde, è la virtù degli imbecilli. Sarà per non incorrere in tale definizione che il Professor Prodi fa di tutto per non sembrare coerente. Soprattutto con i suoi elettori. 3 aprile 2006, faccia a faccia con Berlusconi nel salotto di Vespa. A domanda sulle riforme fiscali, Prodi risponde: «Abbiamo messo nel programma l’imposizione sulle rendite finanziarie, ma non Bot e Cct, soltanto le plusvalenze delle azioni a livello di tutti i Paesi europei, anzi, un po’ più bassa della media dei Paesi europei, proprio perché non si ripetano le cose che si sono avute quest’estate (i furbetti del quarterino ndr) in cui speculatori hanno guadagnato somme enormi senza pagare un solo euro di tasse. Questo è un disegno semplice, chiaro, realistico». Un figurone. La sfortuna ha voluto, però, che Vincenzo Visco, proprio nel momento in cui Prodi ha dichiarato queste cose, si sia distratto e non sia riuscito a seguire il filo del discorso. Solo così si spiega perché il ministero dell’Economia, quindi Padoa-Schioppa, quindi il suo vice Visco, avrebbe deciso dal prossimo anno di fare inserire i Bot nella dichiarazione dei redditi. Gli italiani con un patrimonio investito fino a 25mila euro, secondo lo schema preparato dai tecnici di Via XX Settembre, potranno denunciare al fisco il proprio investimento in titoli di Stato per continuare a pagare l’attuale aliquota fiscale, cioè il 12,5%.
Al patrimonio investito in Bot che eccede i 25mila euro dovrebbe essere applicata invece l’aliquota del 20%. Chi non inserirà nella denuncia dei redditi i titoli di Stato posseduti si vedrà applicato automaticamente un prelievo del 20% su tutto il patrimonio, quindi anche sui primi 25mila euro. Il problema, o l’inghippo, dipende dai punti di vista, è che pochi faranno questa denuncia al fisco. Chi eccede, perché spesso preferisce mantenere l’anonimato e pagare di più. Chi ha meno, cioè il piccolo risparmiatore, si vedrà costretto a pagare per rivolgersi al commercialista o ai Caf, molti dei quali appartenenti alle organizzazioni sindacali di Cgil, Cisl e Uil, e compilare il modello della dichiarazione dei redditi. Tutte queste novità, che il governo Prodi si appresta a introdurre dal 2007, significano una sola cosa: ci sarà un aumento della tassazione dei Bot. Anche per gli attuali possessori, cosa che il Professor aveva categoricamente escluso in campagna elettorale.
«La tassazione sui titoli di Stato correnti non sarà assolutamente modificata. L’armonizzazione dell’aliquota del 20% sarà applicata solo sulle nuove emissioni» chiarì l’attuale capo del governo il 22 marzo scorso in una dichiarazione di agenzia. Per poi lamentarsi con i giornalisti in data 5 aprile: «In campagna elettorale c’è stata disinformazione. Mai detto che voglio tassare i Bot, eppure l’hanno fatto credere».

Per non correre il rischio di sembrare coerente, Prodi ha trovato l’escamotage della dichiarazione al fisco. A meno che non sia proprio tutta colpa di Visco che, alla presa con i difficili conti di Stato, non ha capito quello che Prodi giurava in campagna elettorale. In tal caso, avvisatelo.

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