Quando il vescovo parla come «Repubblica»

Molti cattolici vedono che il Duomo predica diversamente da San Pietro

È una piccola retromarcia, che sembra quasi scaricare la colpa di quanto accaduto sui giornalisti e sui politici. Dalle colonne del Corriere della Sera, il responsabile del dialogo interreligioso della Curia di Milano, monsignor Gianfranco Bottoni, aveva definito domenica come un «provvedimento fascista e populista» l’ipotesi della chiusura della moschea di viale Jenner a Milano, annunciata dal ministro dell’Interno Roberto Maroni. Parole pesanti, inconsuete e quantomeno sorprendenti. Una «cannonata» preventiva, nei toni e nella sostanza molto più dura delle espressioni usate dalla stessa comunità islamica che in quel garage, e lungo tutto il marciapiede, si ritrova intasando la strada ogni venerdì, con notevoli disagi per chi nel quartiere ci abita o ci lavora.
La precisazione è stata affidata a un’intervista che il vicario generale del cardinale Dionigi Tettamanzi, il vescovo Carlo Redaelli, ha rilasciato al quotidiano Avvenire oggi in edicola, una parte della quale è stata anticipata ieri sera alle agenzie di stampa. Redaelli ha dichiarato, soppesando ogni virgola: «La situazione del Centro Islamico di viale Jenner richiedeva da tempo una soluzione, anche in considerazione del pesante disagio provocato ai cittadini della zona dalla preghiera del venerdì. Un conto, però, è la questione di viale Jenner, un altro quello di garantire anche a Milano a coloro che professano la religione islamica, il diritto costituzionalmente stabilito a professare liberamente la propria fede religiosa».
«Le “parole grosse” – ha aggiunto il vicario del cardinale – usate dal nostro responsabile delle relazioni interreligiose facevano riferimento non a provvedimenti concreti, ma all’ipotesi, considerata giustamente incredibile, di un intervento nettamente contrario alla libertà di religione e di culto». Dunque, nessun dietro-front. Don Bottoni, sì, ha sparato «parole grosse», ma la Curia milanese fa quadrato attorno a lui, sono gli altri ad aver frainteso, a voler fomentare la polemica.
La sortita è un segnale preciso dell’imbarazzo serpeggiato nelle ultime quarantott’ore in Curia a Milano. A Tettamanzi, che pure nelle scorse settimane intervistato da Repubblica aveva sentito il bisogno di prendere le distanze dalla decisione del governo di impiegare temporaneamente l’esercito per garantire la sicurezza dei cittadini, le accuse di fascismo e di populismo lanciate da don Bottoni non sono certo piaciute. L’intervista di Radaelli non contiene chiare prese di distanze, anche se il vescovo, al contrario di don Bottoni, assicura di non ritenere «un problema attuale» la possibilità di limitazioni della libertà religiosa. Resta il fatto che il responsabile di un ufficio della diocesi più grande d’Europa, l’incaricato del cardinale per il dialogo interreligioso, ha consapevolmente agitato lo spauracchio del fascismo, nonostante il ministro dell’Interno avesse dichiarato, fin dall’inizio, che la soluzione per viale Jenner sarebbe stata cercata di comune accordo con i fedeli islamici.


Una vicenda che non è certo passata inosservata nei sacri palazzi vaticani, dove più di qualcuno s’interroga sulla piega presa da quest’ultimo scorcio dell’episcopato di Tettamanzi e dall’influenza di alcuni suoi collaboratori.

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