"Quando Yoko mi chiese di salvare John"

Le confessioni e i ricordi di Paul McCartney nel volume "Wings, una band in fuga"

"Quando Yoko mi chiese di salvare John"

di Paul McCartney

Dopo il periodo di ricerca interiore dei primi anni, quando dovevo dimostrare di poter esistere al di fuori della gabbia della fama dei The Beatles, stavamo volando. Wings Over the World mantenne la promessa, non solo negli Stati Uniti, dove festeggiammo il bicentenario dell'America, ma in tutto il mondo. Eppure, tre anni dopo, l'euforia non c'era più. La fine dei Wings sarebbe diventata una vicenda lunga, durata altri due o tre anni. Ci sono periodi caldi cui ne seguono altri più freddi. È la natura, è la scienza; le cose sembrano semplicemente esaurirsi. Il successo dei Wings fu rapidamente seguito da un periodo in cui non ero molto soddisfatto della formazione e di ciò che stavamo facendo con il gruppo.

Alcuni pensano che la fine dei Wings sia arrivata solo nel 1980, quando sono stato arrestato per possesso di marijuana e ho scontato nove giorni nel centro di detenzione per narcotici di Tokyo, ma la verità è che l'ispirazione aveva già iniziato a spostarsi altrove. Non si può forzare nulla; bisogna solo riconoscere che tutto ha una fine. Il mio vero interesse oggi non è l'arresto in sé, ma il modo in cui lo percepiamo nella memoria. Quando sono tornato in Inghilterra, ho buttato giù i miei ricordi e ho scritto un libricino per la mia famiglia, ma l'ho lasciato lì. Ora mi piace l'idea che Morgan Neville torni a quel periodo che mi ero lasciato alle spalle, pensando di averlo superato, ma questi eventi, questi traumi della vita, non scompaiono. Trovo affascinante che nel libro ci sia un commento di una delle guardie carcerarie giapponesi, che si era rivelata molto gentile. Questo piccolo elemento fa riaffiorare ricordi di dettagli personali che avevo dimenticato da tempo, come essere in prigione in un paese straniero e non sapere se avrei potuto cambiarmi i vestiti. Soltanto ora ricordo che mi dissero che potevo chiedere a qualcuno di portarmi degli indumenti puliti, e così chiesi a Linda di portarmi una tuta per togliermi l'abito verde che indossavo da giorni. Quando pensi a tutto quel consumo di droga, alla morte di molti di noi da Jimmy McCulloch, a Hendrix, a Joplin, a Keith Moon ti rendi conto che siamo stati fortunati, ma era più di questo: abbiamo evitato le droghe pesanti e, soprattutto, avevamo la famiglia. Linda e io ora avevamo dei figli che stavano crescendo. Molti altri non avevano questo tipo di responsabilità. Non potevamo più uscire fino a tardi. Dovevamo evitare le follie. Avendo dei figli, non potevamo fare uso di droghe e non potevamo nemmeno bere tanto.

Sebbene poche persone amino parlare dell'età o pensare ai problemi fisici o mentali che inevitabilmente essa porta con sé, ci sono anche molti aspetti positivi, come rivelano sia il documentario sia questo libro. Proprio come alla fine degli anni '60 mi ribellavo all'etichetta di beatle che mi era stata affibbiata, sapevo anche che gli impulsi indipendenti che animavano i Wings non potevano durare per sempre. Con il passare del tempo acquisiamo una ricchezza di prospettiva di cui ora sono particolarmente consapevole. Shakespeare scrive della "mercé di un turbolento torrente", un'espressione che mi piace perché dice che, se siamo fortunati, possiamo trovare misericordia alla fine del torrente impetuoso che è la vita. A questo proposito, penso a Ram, l'album che Linda e io abbiamo pubblicato poco prima dei Wings, ma che all'epoca John e Yoko hanno trovato offensivo. Ripensandoci, era solo un periodo molto turbolento. Eravamo una famiglia. Le famiglie litigano, i fratelli litigano. E una volta che te ne rendi conto, puoi guardare indietro con misericordia e pensare: "Oh no, è stato davvero bello", anche se a volte è stato caotico, a volte deludente, a volte persino molto triste.

Ma il tempo ci permette di capire che, in altre occasioni, il nostro rapporto era molto felice. Mi viene in mente quando Yoko chiese a me e Linda di salvare John dopo che si erano separati e lui era andato sulla West Coast. Fui felice di farlo, di riportarlo dal suo vero amore. Era un dovere emotivo, era così che mi sentivo, volevo farlo sedere e dirgli: "Yoko dice che ti riprenderà se torni", e sono molto orgoglioso che sia andata così.

La stampa amava dipingerci come persone costantemente in conflitto, ma in realtà eravamo molto empatici. Non volevamo certo dominare il mondo o distruggere la vita di nessuno e, nel caso di John, credo che la risposta fosse l'amore. Era follemente innamorato di quella ragazza e quando si è innamorati si fanno cose folli. Una delle cose più belle che sono venute fuori da quel weekend è stata la nascita di Sean. Sono molto felice che John mi abbia ascoltato.

È passato più di mezzo secolo dalla nascita dei Wings, e mi fa piacere che la gente ricordi le canzoni e che molte continuino a essere riproposte. Ora ho raggiunto un'età che nessun giovane può immaginare, ma è proprio il passare del tempo che mi affascina perché ci offre un prisma attraverso cui guardare la vita in modo diverso, con molta più gentilezza e amore. E cerchiamo delle routine, proprio come faceva Picasso quando aveva novantuno e novantadue anni, realizzando oltre cento dipinti all'anno. La mia routine è piuttosto semplice. Mi piace molto seguire una routine. Mi alzo, prendo delle vitamine. Faccio una colazione molto specifica, con frutta e cereali. Probabilmente vado al lavoro, guido per venti minuti fino al mio studio e suono un po' di musica.

Se non vado in studio, mi metto alla chitarra e al pianoforte, se ne ho voglia, perché è quello che so fare. E con un po' di fortuna, arriva la magia. Alle tre, se ci sono delle parole su un foglio e c'è una canzone che hai scritto, è una sensazione fantastica. Così bella che potrei fare qualsiasi altra cosa per il resto della giornata, cioè fino a sera, quando Nancy e io ci ritroviamo per cenare e rilassarci prima che chiuda la casa per la notte.

Mi sento molto fortunato quando ho un'ispirazione. Molte persone non ne avranno mai, ma io ho avuto la fortuna di averne avute alcune, anche se solo da bambino a scuola. Sono sempre stato creativo. Ricordo di aver pensato a una poesia, ora la ricordo a malapena, ma iniziava con una catena di vermi che si trascinava lentamente e parlava della scomparsa dell'umanità. Questo è il mio vago ricordo:

"The worm chain drags slowly

And disappears into a hole in the ground

Then reappears on the backs of the young

Man tell the woman

Her children are crying

The trouble with living

Is nobody's dying"

L'ho scritta quando avevo dodici anni o giù di lì e ho cercato di farla pubblicare sul giornale scolastico, ma è stata rifiutata.

Per tutta la vita, e anche allora, ho voluto fare qualcosa di diverso. Per avere successo, doveva essere qualcosa di diverso. Volevo scrivere canzoni e l'ho fatto, ma col tempo è diventato un corpus di opere, senza che me ne rendessi conto. E adesso ho venticinque canzoni che finirò nei prossimi mesi, canzoni nuove e interessanti. Sento qualcosa, ascolto un brano musicale e penso: Oh, mi piace, e incorporo quella sensazione in una nuova canzone. Spesso il filo conduttore dei miei testi è la nostalgia, i ricordi di cose passate.

Non mi interrogo troppo su come questo accada, sono semplicemente entusiasta che avvenga.

(Traduzione di Salvatore Serù)

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