Quante inchieste rovinate da una fuga di notizie

La cronaca giudiziaria e la libertà di stampa esistevano prima che le intercettazioni venissero inventate, e continueranno a esistere anche dopo che la legge già approvata dalla Camera avrà reso assai difficile - se non impossibile - la loro pubblicazione. L’indignazione, gli appelli e le raccolte di firme di questi giorni contro la «legge bavaglio» mischiano in modo straordinariamente confuso due valori che non sempre viaggiano a braccetto: gli interessi della giustizia e quelli dell’informazione. Un ottimo articolo può rovinare un’ottima inchiesta. Di questa sostanziale diversità di interessi - entrambi tutelati dalla Costituzione - in queste ore ci si dimentica allegramente.

La legge mette dei limiti alla possibilità per i magistrati di intercettare, e solo alcuni di questi limiti - a mio sommesso modo di vedere - hanno un fondamento logico. Poi, ed è tutt’altra faccenda, si mettono dei limiti alla possibilità per i media di divulgare gli elementi d’accusa raccolti dalle Procure della Repubblica.

Sostenere che dando una regolata alla prassi del «copia e incolla» - direttamente dall’ordinanza di custodia alle pagine del giornale - invalsa da anni nelle redazioni italiane si renda impossibile fare cronaca giudiziaria suona quanto meno irrispettoso verso le generazioni di coraggiosi giornalisti che ci hanno preceduto, verso i Nozza e i Paolucci che hanno raccontato anni difficili di questo paese facendo serenamente a meno di strumenti che a noi oggi appaiono indispensabili.
Ma c’è di più. Qual è l’operazione che compie, in sostanza, la legge? Da un lato - ed è l’aspetto più eclatante - inasprisce pesantemente le sanzioni a carico di giornali e giornalisti. La categoria si scandalizza. Eppure se divieto ci deve essere, allora deve esserci anche sanzione efficace. Altrimenti - ed è la situazione attuale - non vi è davvero un divieto ma il solito italico pasticcetto. Per il resto, la legge precisa in modo abbastanza chiaro in che momento dell’indagine penale il diritto della giustizia a indagare in segreto deve cedere il passo al diritto della stampa a informare.

Il nuovo comma 2 ter dell’articolo 114 del codice stabilisce che è pieno diritto dei giornali pubblicare il contenuto dell’ ordine di custodia una volta che è stato notificato all’indagato. Viene cioè tradotta in legge la linea che il procuratore Borrelli enunciò ai tempi di Mani pulite, «gli atti noti alle parti non sono coperti da segreto», e che - come è noto - consentì una copertura mediatica abbastanza dettagliata delle indagini milanesi.
Certo, restano fuori le intercettazioni. Un intero genere letterario - cui è possibile che alcuni lettori sia siano persino affezionati - rischia di sparire dalle pagine dei giornali. Ma quante intercettazioni vennero pubblicate durante tutta Mani pulite? Neanche una, con le eccezioni delle crepuscolari telefonate di Hammamet. E l’inchiesta venne raccontata lo stesso.

Quante intercettazioni decisive, davvero rilevanti ai fini della comprensione di un fenomeno criminale, sono finite sui giornali nei venti anni successivi? Quelle di Antonveneta e Bnl, indubbiamente. E stop. Un po’ poco per dire che senza il copia e incolla dal brogliaccio del brigadiere si uccide la cronaca giudiziaria.

Sicuramente fare il cronista giudiziario diventerà più difficile, e magari più stimolante. Racconteremo il contenuto delle intercettazioni alla fine delle indagini preliminari, e sarà altrettanto interessante che raccontarlo sei mesi prima.

E se quelle considerate irrilevanti non arriveranno mai ai giornali, be’, forse è giusto così. A meno che non si pensi che debbano essere i cronisti a vigilare sugli insabbiamenti di verità scomode da parte di pm collusi. Ma questo sì che suonerebbe dolorosamente irrispettoso verso la nostra magistratura.

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