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Quante poltrone «bipartisan» per gli ex diessini

RomaUmberto Veronesi è vittima della «figurinite» di Walter Veltroni. Se il celebre oncologo fosse stato organico al Pci-Pds-Ds-Pd, la sua nomina alla guida dell’Agenzia per la sicurezza nucleare non avrebbe destato polemiche. E, invece, se vorrà accedere a quell’incarico dovrà abbandonare lo scranno di senatore. Colpa di Uòlter che per camuffare gli apparatchik nelle liste Pd alle Politiche 2008 pensò di aggiungere qualche «figurina» tra le quali Veronesi, i confindustriali Colaninno e Calearo (ora trasmigrato alla rutelliana Api) e lo scrittore Carofiglio.
La storia recente, infatti, insegna che quando il Partito sostiene un candidato, si impegna fino in fondo. Basti pensare alla situazione di Invitalia (la ex Sviluppo Italia) dove resiste in prorogatio il manager dalemiano Domenico Arcuri, avvantaggiatosi anche del lungo interim al ministero dello Sviluppo economico. E se oltre ad avere un ottimo feeling con il ministro dell’Economia Giulio Tremonti, non fosse stato la punta di diamante del sistema bancario «rosso», il presidente del Monte dei Paschi di Siena, Giuseppe Mussari, sarebbe diventato il leader dell’associazione delle banche italiane? Improbabile.
Analogamente l’ex ministro Franco Bassanini non potrebbe sedere alla presidenza della Cassa Depositi e Prestiti se oltre al placet delle Fondazioni bancarie non ci fosse quello del Partito. Insomma, se c’è una cosa che sanno fare bene i discepoli della Scuola delle Frattocchie è proprio organizzare un apparato economico-finanziario-manageriale. Quindi non regge la scusa propinata dal portavoce di Bersani che il Pd non sia ideologicamente contrario al nucleare, ma che sia il piano del governo a essere poco credibile. Sarebbe stato forse più onesto affermare che «Veronesi non è uno dei nostri».
Anche perché diventa più difficile motivare altre evidenti contraddizioni. Se quando governa il centrodestra per i «sinistri» la Rai diventa un verminaio, perché l’ultimo atto di Veltroni da segretario è stato avallare la nomina di Giorgio Van Straten a consigliere di amministrazione? E, soprattutto, perso il posto in consiglio al Poligrafico, come ha fatto il segretario della dalemiana ItalianiEuropei, Andrea Pèruzy, a trovare immediatamente una poltrona nel cda di Acea, l’utility della Roma alemanniana?
Si tratta, ovviamente, di domande retoriche perché i dati parlano chiaro. Alla guida delle Ferrovie dello Stato c’è l’ex sindacalista Cgil Mauro Moretti che il centrodestra ha riconfermato anche in virtù dei buoni risultati ottenuti e del suo contegno bipartisan. I manager provenienti da quella Iri dove dominus incontrastato fu Romano Prodi, tuttora hanno posti di responsabilità: da Piero Gnudi (Enel) a Piero Ciucci (Anas) a Claudio Cappon, recentemente assegnato a nuovo incarico in Newco Rai International. Tutt’altro che appannata anche la carriera dell’ex parlamentare e ministro Luigi Spaventa che presiede Mts (il gestore del mercato dei titoli di Stato) e Sator, la boutique finanziaria di Matteo Arpe.
La scortesia usata a Umberto Veronesi, tuttavia, non rappresenta un unicum.

Anche a un altro «indipendente» come Giuliano Amato fu impedito di presiedere la commissione per lo sviluppo di Roma alla quale lo aveva chiamato Gianni Alemanno. Cose che succedono a chi non ha trascorso l’infanzia in una sezione di partito, a chi viene da altre esperienze, a chi ha scelto di fare la «figurina» nell’album di Uòlter.

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