Quanti delinquenti nel Pd moralista

Il partito di Bersani si ostina a credere di essere l’unico depositario del diritto di censura dei comportamenti altrui. Ma se facesse autocritica troverebbe tante storie in casa propria: lo stupratore seriale, il killer, il cocainomane, i mafiosi

Quanti delinquenti nel Pd moralista

La sveglia è suonata, per la verità suona da un pezzo ma a sinistra fanno finta di non sentirla. Come un apparecchio radiocomandato, ormai squilla a intervalli regolari in attesa che qualcuno ne prenda atto e la zittisca. È il triste rintocco che accompagna un ammainabandiera, il ripiegamento di quella che fu l’orgoglio di uno come Enrico Berlinguer: la cosiddetta superiorità morale della sinistra. Il segretario del fu partito comunista pose il tema nel 1981. «La questione morale è il centro del problema italiano», disse in una celebre intervista a Eugenio Scalfari. Quasi trent’anni dopo, le sue parole restano attuali. La differenza è che la sinistra non ha più titoli, se mai ne ha avuti, per farle sue e ricordarle al resto del mondo.
Il partito dei moralisti invece insiste a gonfiare il petto. Non perde occasione per comportarsi come le maestre di una volta: tu dietro la lavagna, tu fuori dalla porta, tu con me dal preside, tu mostra le dita che ti bacchetto. Quando non fanno i perfettini, diventano saccenti come Debora Serracchiani, che in tv da Santoro ha difeso Piero Marrazzo e condannato Silvio Berlusconi: «I nostri quando sbagliano si dimettono, questa è la differenza tra i politici del Pd e gli altri», ha protestato scuotendo la frangetta. O sfoderano l’ironia spuntata di Pierluigi Bersani: «Non ho ancora visto autosospeso Berlusconi». O puntano il dito come Rosi Bindi: «Berlusconi che telefona a Marrazzo per avvertirlo del video è l’ennesima prova del conflitto d’interessi». O sproloquiano come Antonio Di Pietro.

Che Marrazzo frequenti i trans e addirittura sia un cocainomane confesso (cosa di cui ha dovuto prendere atto perfino Repubblica, sia pure a malincuore), non è problema loro. Non lo è stato nemmeno il caso di Catello Romano, il giovane di Castellammare di Stabia iscritto al Pd, candidato in una delle liste per il direttivo cittadino, che partecipò a un agguato omicida di camorra. Non lo è stato neppure Luca Bianchini, romano, uomo dalla doppia vita, quella che i maggiorenti della sinistra condannano indignati: di giorno ragioniere, contabile, militante del Pd, coordinatore del circolo del Torrino; di notte stupratore seriale, incastrato dalla prova del Dna.

Oggi si aggiungono altri due casi. Ad Alcamo, in Sicilia, il senatore pd Nino Papania si avvaleva dei servigi di Filippo Di Maria, autista e cassiere del boss locale Nicolò Melodia. Di Maria è stato arrestato con altre nove persone in un'operazione antimafia: nel tempo lasciato libero dai summit dei mammasantissima, curava il giardino della villa del senatore (ex assessore regionale di centrosinistra), ne guidava l’auto e partecipava all’attività della segreteria politica, oltre che procurare voti a Papania.

E poi c’è il sequestro di beni per un valore di cinque milioni di euro a Domenico Crea, ex consigliere regionale della Calabria, in indagini legate all’omicidio di Francesco Fortugno. Crea era già stato arrestato nel 2008 per i rapporti tra politica e ’ndrangheta nella gestione della sanità calabrese.

È cronaca di questi giorni. Ma è cronaca pure il dito sempre puntato e il sopracciglio perennemente alzato dei maggiorenti del centrosinistra. Pronti a spolverare alla bisogna l’armamentario del conflitto d'interessi, le frequentazioni dello stalliere di Arcore Vittorio Mangano, le assoluzioni per prescrizione che equivarrebbero a condanna. Si scandalizzano per le veline, le vallette, le Noemi, le feste, i voli di Stato su cui sarebbe salito Mariano Apicella. Mostrano disgusto per le Patrizie D'Addario, che poi showman di sinistra come Michele Santoro portano in prima serata Rai, e pensano di cavarsela a buon mercato con Marrazzo facendolo dimettere e sperando che l’ex governatore del Lazio si faccia dimenticare a velocità supersonica.

Dimissioni doverose, ma che pure il Partito democratico per qualche giorno ha cercato di evitare armeggiando tra certificati medici, stress, convalescenze e ritiri monastici pur di schivare l’onta di una regione rossa costretta alle elezioni anticipate da uno scandalo sessuale. Nella rincorsa a un moralismo ipocrita, nessuno ha più titolo per dare lezioni a nessuno. E la sveglia del Pd dice che è ora di cominciare a fare un bel po’ di autocritica.

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