Quanti incontri tra Fini e i giudici Ma chissà cosa si saranno detti

Un abbraccio sempre più stretto. La sinistra della destra, insomma l’area finiana, sta accovacciata sul partito dei giudici. Il presidente del sindacato delle toghe Luca Palamara afferma compiaciuto: «Il quadro politico è cambiato». E così l’incontro a Montecitorio fra Palamara e il presidente della Camera va ben oltre l’etichetta e la ritualità di questi appuntamenti. Fini si smarca dal Cavaliere, anche e soprattutto su questo terreno, indossa la toga, inaugura una sua politica giudiziaria.
In tv i Granata, i Bocchino, i Briguglio litigano a getto continuo con i colleghi del Pdl, sul campo i colonnelli di Futuro e libertà danno il via da Reggio Calabria ad un tour delle procure di prima linea. Un modo per conoscere dal vivo i problemi delicatissimi degli uffici, ma anche l’occasione per far capire che i finiani vogliono costruire un rapporto personale con i giudici e con il loro sempre evocato partito.
Si è scandagliato infinite volte il rapporto fra la sinistra e la corporazione dei giudici, le procure più ideologizzate, quei magistrati sempre sul punto di forzare le regole del gioco sul presupposto di una ipotetica emergenza istituzionale. Ora sembra essere la volta della “piccola” sinistra nata dallo strappo di Fini: bastava girare per Mirabello, domenica scorsa, per capire che l’erba del giustizialismo aveva attecchito fra gli stand di Futuro e libertà. Le magliette inneggianti a Saviano, le battute feroci su Mangano, i retropensieri perfidi sul processo breve: il cannocchiale di Fini vede lo stesso cielo che osservano dalle parti del Pd. Poi, naturalmente, Fini, che può strappare ma non può perdere per strada tutti i suoi punti di riferimento e i suoi elettori, se la prende qua e là con «alcuni segmenti iperpoliticizzati della magistratura» e Italo Bocchino, gira e rigira, arriva a dire che Berlusconi è vittima di un’aggressione giudiziaria. Dettagli. Sfumature. Assestamenti.
Berlusconi attacca i giudici che mettono il naso negli affari di Bertolaso, con i toni durissimi che gli sono consueti, e sbotta: «Vergognatevi». Fini subito lo corregge: «No, non si devono vergognare». Anzi, con straordinario tempismo, benedice zuccheroso le indagini, pure quelle della magistratura romana sulla casa di Montecarlo. Curioso. Fini non risponde alle domande elementari del Giornale e degli altri quotidiani, elude le conferenze stampa, tace su tutta la linea, così come non aprono bocca i Tulliani, il cui avvocato Carlo Izzo è cognato - in questa storia ci sono solo cognati - del Presidente della corte d’appello di Roma Giorgio Santacroce. Parentele doc, dunque, e apparentamenti con le toghe sulla linea tracciata dall’Anm.
Fini aspetta sorridente le mosse dei pm e appiattisce la dimensione politica del pasticcio di Montecarlo su quella giudiziaria. «Un po’ di pazienza - ripete dagli schermi di La7 - qualche settimana, magari qualche mese e i magistrati faranno chiarezza». Lui non vuole farla, evidentemente preferisce certe liturgie, non tiene conto dell’ingombrante precedente di Scajola - che si era dimesso prima ancora di essere interrogato o indagato - anzi, sembra giocare di sponda con certa magistratura.
E non è un modo di dire: l’ormai famoso fuori onda del 6 novembre scorso la dice lunga sulla consuetudine del cofondatore del Pdl con le toghe. Fini, «spiato» a sua insaputa da una telecamera birichina, parla a ruota libera del premier con il procuratore di Pescara Nicola Trifuoggi: «L’uomo confonde il consenso popolare con una sorta di immunità». Trifuoggi, ancor più elegante, replica pronto: «Voleva fare l’imperatore romano». Ovvio che dalle parti del Pdl intravedano complotti e manovre di palazzo per abbattere il premier, sullo sfondo di una situazione sempre precaria. Il 14 dicembre il legittimo impedimento, ovvero lo scudo a tempo forgiato per tutelare il Presidente del consiglio, potrebbe essere fatto a pezzi dalla Consulta. I berlusconiani scrutano l’orizzonte e si abbandonano a cattivi pensieri: con l’autunno le procure accerchieranno il premier, ma Fini va avanti per la sua strada e sembra colloquiare con lo schieramento in toga. Eccolo, sempre dal palco sarcastico di Mirabello, trattare con una punta di disprezzo l’avvocato Ghedini, uomo chiave del premier sul fronte della giustizia, definendolo un «dottor Stranamore». Intanto Giulia Bongiorno, la sua longa manus in questo campo minato, mette paletti su paletti: sulle intercettazioni, sul processo breve, sul lodo Alfano costituzionale, il superscudo che dovrebbe sostituire in corsa il legittimo impedimento ma potrebbe arrivare a fine corsa, su tutto quello che si muove. Intendiamoci, molte osservazioni sono pertinenti e alcune critiche sacrosante ma quel che conta è l’effetto d’insieme: è nato un nuovo partito che sulla giustizia si contrappone frontalmente al berlusconismo e sembra volersi fidanzare con il famigerato partito delle procure.

A Milano come a Palermo, dove bollono le inchieste che da troppo tempo promettono squarci di verità, verità naturalmente inconfessabili, sulle stragi mafiose, verità che portano sempre dalle parti di Berlusconi. Fini va a braccetto con le toghe, anzi pare una toga pure lui. E dalle toghe in prima linea i finiani si aspettano una spallata al premier. Anche se, a parole, ma solo a parole, gli esprimono una gelida solidarietà.

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