
Il suo sito internet, curato da Garzanti, è quello di un brand affermato: il claim - «14 anni di successi» - è il coronamento di un sistema che comprende un test (al termine si scopre qual è il suo libro più adatto al tuo carattere), i piatti tratti dalle storie e un focus sui «luoghi da romanzo». In particolare Bellano, la «piccola Manchester del Lario» su cui Andrea Vitali ha costruito le sue trame. Tutto possibile perché lui è uno scrittore seriale. Scientificamente seriale. Tanto che è lui a dettare i tempi all'editore, non il contrario. La media? Tre romanzi l'anno. Uno lo pubblica, uno lo scrive, uno lo pensa. «Non è un problema scrivere tanto se le idee non mancano - dice -. Basta organizzarsi. Non è che il mio editore mi imponga libri di 500 pagine come l'ultimo, Viva più che mai. Se gli dico che una storia è breve, accetta».
E i lettori?
«Qualche lamentela è arrivata, per Le mele di Kafka e La verità della suora storta. Perché troppo corti. Obiezione un po' sciocca, ma che ci può stare: ho spiegato che quando la storia è quella, è inutile allungare il brodo per far aumentare il volume. Quando hai detto una cosa una volta, hai finito di dirla».
Può descriverci il «sistema Vitali»?
«Non faccio scalette, non timbro cartellini, non mi do un numero di cartelle fisse, ma l'attività è quotidiana. Anche solo una riga, ma ogni giorno: non c'è Natale, non c'è domenica. Spesso mi fermo anche se ho già un seguito: me lo tengo stretto un po', così migliora. D'inverno mi alzo presto, vado in montagna, mi ossigeno e di pomeriggio mi sdraio sul divano, scrivo e leggo. D'estate scrivo in studio, con la finestra aperta. Considerando che lo faccio da decenni, ho riempito i cassetti di storie. Più o meno complete, ma comunque storie, che finita una tiro fuori l'altra».
Il progress di lavorazione?
«Il 5 novembre è uscito Viva più che mai. Ma due settimane fa ho consegnato il nuovo che uscirà a febbraio, massimo marzo. Il che mi dà appagamento e libertà, per cui nel frattempo ho cominciato a scrivere il romanzo programmato per novembre. Senza cani alle calcagna e senza legarmi alla sedia. L'importante però è non mollare il pensiero e sviluppare la trama».
Punto di partenza di ogni nuovo lavoro?
«Un'idea di base vaga e imprecisa. Per il romanzo di febbraio, che si chiamerà A cantare fu il cane, è stato l'abbaiare di un cane sentito per le contrade ormai disabitate del mio paese. Quel cane svelerà il mistero legato a una storia di corna. Intorno ci sono altri due filoni: la fuga di un giovane che pare si arruoli in Spagna con le brigate internazionali e un'anziana in pellegrinaggio al Santuario, che perde la memoria. L'idea su cui lavoro ora, che andrà in Come una moglie, parte dal fatto che anche se un uomo ha la fede al dito non è detto sia sposato».
Dall'idea al prodotto finito?
«Dai tre ai sei mesi al massimo».
In questo modo quanti romanzi ha scritto?
«Lo chiede alla persona sbagliata. Nemmeno io ho fatto il conto».
Ma se li ricorda?
«La trama sì. Tutti i personaggi, visto che sono molti, sinceramente no. Sarebbe pura follia».
Mai beccato per qualche incongruenza?
«In Almeno il cappello cito una balia che allatta. Un lettore mi disse che non era possibile perché non aveva mai partorito. Mi sono preoccupato e sono andato a controllare, anche perché ho fatto il medico e sarebbe stato un errore grossolano. Alcune pagine prima citavo un suo aborto, quindi era giustificato che avesse la prolattina attiva».
Finali dibattuti?
«Quello aperto di Dopo lunga e penosa malattia. Alcuni lettori erano sconcertati: Ma non sapevi come finirlo?. Era anche vero: quando ho cercato di chiuderlo mi erano venute solo idee banali. La soluzione ideale mi sembrò, e mi sembra, lasciarlo in mano ai lettori».
Con il quale ha un rapporto stretto.
«Ho una media di 140 incontri l'anno. Posso ben dire che ho il polso della situazione in tutta Italia».
Una maratona infinita. Ce la fa perché fa solo lo scrittore.
«Scrivere mi permette di guadagnare onestamente, senza pretese. Una vita dignitosa, senza yacht, villa al mare o Porsche in garage. La casa e la base economica vengono dall'aver fatto il medico per 25 anni, ora solo come volontario in una comunità psichiatrica».
Quanto vende in media?
«Considerato Mondolibri e gli economici, 70-80mila copie a titolo. Alcuni, alla 24ª ristampa, hanno superato le 150mila. Certo se uno pubblica un libro ogni 4-5 anni non è che possa campare più di tanto».
Quindi, essere seriali premia.
«Quelli come me o Camilleri o Manzini, che fanno affezionare il lettore, difficilmente lo perdono. Se non lo tradiscono».
Come si tradisce?
«Facendo marchette o libri a contratto. Ma io sui piani editoriali ho piena libertà. Non mi devo chiudere in albergo per finire un libro ormai annunciato».