da Milano
La minaccia di ritorsioni economiche colpisce con tutto il peso del Paese più popoloso del mondo, un miliardo e trecento milioni di abitanti tra i quali cento milioni di consumatori con un tenore di vita occidentale, cifra già alta ma destinata a crescere ancora molto. La Cina ha riserve valutarie da paura e la più grande flotta mercantile del pianeta, proprio quella che le recenti missioni del governo italiano hanno cercato di allettare perché attracchi sulle coste nostrane. Sono in atto corteggiamenti tra compagnie aeree, manovre per attirare gli investimenti diretti cinesi in Italia, ancora esigui in valore assoluto ma in aumento negli ultimi anni. Per non dire del tentativo di superare il gap che ci separa dalla Germania e dal resto dellEuropa in questa caccia al Dragone emergente, anzi paurosamente emerso.
Tutti in piazza. La Lombardia è la regione in cui la presenza degli imprenditori cinesi si fa sentire di più e Milano la capitale dellimpresa gialla. Così, le tensioni che sono esplose nella Chinatown di via Paolo Sarpi continuano a serpeggiare, neanche troppo sotto traccia. Questa sera in piazza Gramsci, nel cuore dellarea colonizzata dai commercianti cinesi, la Lega guiderà una manifestazione di protesta, fiaccole che rimarranno ferme senza il corteo che era stata programmato in un primo momento e che è stato trasformato in un presidio. Preoccupa anche lintenzione di tornare in piazza annunciata dai cinesi residenti a Milano, che hanno in programma per i prossimi giorni una manifestazione in difesa dei loro diritti. «Uniniziativa legale, che sarà promossa dopo lautorizzazione della questura» spiegano i rappresentanti di Alkeos, lassociazione che è uno dei punti di riferimento della comunità cinese a Milano.
Il governatore. Una situazione tesa, che Roberto Formigoni invita a affrontare con rapidità. «Milano non è mai stata razzista, non è in atto uno scontro etnico ma bisogna intervenire subito a evitare le speculazioni di chi vuol far saltar fuori il razzismo» dice il presidente della Regione. Non ha gradito le parole dellambasciatore cinese in Italia, suonate come una minaccia nella Regione che ospita alcune tra le principali imprese cinesi in Italia, la Cosco, la Chuanlan, la Genertec, la Cremat, la Haier, tanto per fare alcuni nomi. «Le espressioni usate dallambasciatore non mi hanno entusiasmato. Ci vuole equilibrio da tutte le parti e se il governo cinese chiede equilibrio, poi deve anche mostrarlo» osserva Formigoni. Dice di esser convinto che la situazione rientrerà e che adesso è fondamentale «depotenziare la tensione».
Sono ventiseimila le ditte italiane che hanno per titolare un cinese (quasi lun per cento del totale delle ditte individuali del Paese) ma a colpire di più è il fatto che il numero è triplicato negli ultimi sei anni, in un panorama in cui leconomia locale non gode certo di ottima salute. Milano ha la palma del maggior numero di ditte (2822 nel 2006, secondo i dati della Camera di Commercio), seguita da Prato, Firenze, Roma, Napoli, Reggio Emilia e Brescia. Le Regioni in cui è prevalente la presenza di imprenditori cinesi sono la Lombardia (21 per cento), la Toscana (20), lEmilia Romagna (10), il Lazio (10), il Veneto (9). I settori in cui gli imprenditori cinesi sono più attivi sono il commercio allingrosso e al dettaglio, insieme al manifatturiero. Seguono, ben distanziate, le attività alberghiere e di ristorazione.
I conti. Il futuro fa prevedere una presenza ben più massiccia. Dal 2001 al 2005 il valore degli investimenti diretti in Italia dalla Cina è cresciuto del 160 per cento, con picchi negli ultimi due anni. La bilancia commerciale parla di importazioni per 11,7 miliardi di dollari e esportazioni per 6,9. In valori assoluti sono numeri ancora poco significativi, ma è innegabile la tendenza a attirare nuove imprese cinesi, nella speranza che possano creare nuova occupazione. Non solo a livello di ditte individuali.
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