Se si portano in Aula la mortadella e stappano lo spumante, come fece il senatore di An Nino Strano per festeggiare la caduta del governo Prodi, si capisce che quella sulleleganza non è una battaglia che i presidenti di Camera e Senato possano condurre agevolmente. Del resto, parafrasando il Die Welt del post Olimpiade torinese sui vittoriosi pattinatori Fusar Poli e Margaglio, si potrebbe pure dire: «Bravi, ma come diavolo si vestono?». E poi loro, deputati e senatori, sono o non sono lo specchio del Paese? Certo, però, nessuno può impedire agli austeri barbieri di Camera e Senato di rimpiangere il Giulio Andreotti che il barbiere se lo faceva mandare nel suo ufficio a Montecitorio alle 6 del mattino, e di storcere il naso quando in Transatlantico incrociano un Franco Barbato in versione «street-wear»: capello lungo un po unto che fa pendant col jeans arrotolato su scarpa da ginnastica e con la camicia fuori dal pantalone e aperta sul petto, roba che manca solo la catena doro a completare il trash. Il tutto senza cravatta, che non cazzecca.
E uno dice vabbè, Tonino sul trattore docet: i dipietristi sono un po contado-style. La cravatta, però, quella anche i fighetti del Pd lhanno riposta nellarmadio. Prendi Pierluigi Bersani, ci fosse una volta che la indossa. Del resto, cè poco da fare, lex ministro avrebbe laria stazzonata anche in doppiopetto. E poi scusa, vogliamo parlare dei leghisti? Altro che cravatta, quelli pure la giacca farebbero meglio a lasciare a casa, viste le tinte. È che Bossi ha detto ai suoi: guai a chi si presenta senza la pochette verde.
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