da Milano
Nellera della finanza, questa in cui viviamo, dove il predominio delle banche sullindustria è conclamato, i protagonisti delle scelte sono i banchieri daffari. Signori che, come tutti, salgono e scendono. Gli straordinari cambiamenti che, dopo lo smottamento Parmalat, sono accaduti in questi ultimi 2 anni, da Antonio Fazio e dalla scalata Ricucci-Rcs, a Mario Draghi e alla fusione Unicredit-Capitalia, hanno fatto selezione: nulla è più come prima nella geografia dei banchieri daffari.
Nell«età delloro» degli anni Novanta il filone era quello delle privatizzazioni. Dalle banche alle utility, la gara dei mandati miliardari, secondo un alto funzionario del Tesoro «aveva 4 protagonisti: Claudio Costamagna per Goldman Sachs, Panfilo Tarantelli di Schroders, Marco Capello di Merrill Lynch e Ruggero Magnoni di Lehman Brothers». Tutti stranieri e politicamente amici della sinistra egemone di quei primi anni di seconda Repubblica. Dove allIri era tornato Prodi. Del quale è arcinoto, per esempio, il rapporto speciale con Goldman, di cui è stato consulente. Di Italiani al top cera solo Mediobanca, dove al vertice del servizio finanziario sedeva Gerardo Braggiotti, alla guida di giovani come Alberto Nagel e Matteo Arpe. Mentre sul fronte privato teneva il passo Euromobiliare dove, insieme con Guido Roberto Vitale, si muoveva Arnaldo Borghesi (mente del primo sbarco in Borsa di Berlusconi, quello di Mondadori). Anche Morgan Stanley, con Galeazzo Pecori Giraldi, stava in serie A. E con Claudio Sposito svolse un ruolo di primo piano in unaltra Ipo di peso, quella di Mediaset. Completano il quadro dei padroni del vapore il Csfb, con Andrea Morante, e lImi di Rainer Masera: la coppia riuscì ad aggiudicarsi il collocamento Eni e successive tranche.
Una stella del firmamento bancario fu Federico Imbert, al vertice di JpMorgan. Divenuto star con la scalata Telecom di Colaninno, Imbert diventa il banchiere di riferimento della filiera bresciana di Emilio Gnutti. E riesce anche a essere ben visto a destra, negli anni del secondo governo Berlusconi, fino a orchestrare due collocamenti targati Fininvest: Telecinco e il 15% di Mediaset. La sua stella è ora in secondo piano. Non tanto per la vicenda Parmalat, quanto per il tramonto della razza padana. Mentre il collocamento flop di Saras dellanno scorso, con il seguito giudiziario in corso, non ha aiutato. Lungo la strada ha pure perso il suo braccio destro Alessandro Rombelli, messosi in proprio.
Il «cambio di generazione» in corso ha favorito i marchi nazionali. «Oggi i banchieri italiani - dice un banker - sono molto più ascoltati di dieci anni fa». Due i nomi su tutti: quelli di Gaetano Micciché e di Sergio Ermotti. Il primo è responsabile del corporate di Intesa Sanpaolo. Sulla sua scrivania i dossier delle grandi operazioni, da Telecom ad Alitalia. Il secondo - che in verità è ticinese - è il capo dellinvestment banking di Unicredit e si appresta a esserlo anche dopo la fusione con Capitalia. Operazione che ha invece costretto a un passo indietro lex enfant prodige Matteo Arpe.
In secondo piano, rispetto ai fasti del passato, sembrano muoversi sia Lehman, sia Goldman, sia Citigroup (che ha assorbito Schroder e Tarantelli), sia Morgan Stanley. La prima ha ancora nei ranghi Magnoni. E ha costituito un board di nomi importanti quali Masera, Francesco Mengozzi e Francesco Caio, ma forse un po «datati». Mentre Magnoni è preso da molte attività private e la presenza della banca daffari, soprattutto sullequity (non sul debito, dove il rapporto con il Tesoro resta eccellente), segna un po il passo. Idem per Goldman, dove litaliano numero uno, Paolo Zannoni, è partner. Ma dalla banca Usa se ne sono andati sia Costamagna, sia Draghi, sia Massimo Tononi, ora sottosegretario al Tesoro. Limpressione è che Goldman abbia già dato molto. Anche Morgan Stanley ha perso un po di smalto, ma larrivo tra i vice president di Domenico Siniscalco ha aiutato la squadra guidata dallex Merrill Lynch Dante Roscini a tornare alla ribalta. Ultimo colpo, il ruolo di advisor per la quotazione del Sole 24 Ore.
LIpo dellanno sarà fatta da Ubs e Mediobanca. La prima, nel cui board italiano siede il presidente delle Fs (ed ex Sole) Innocenzo Cipolletta, grazie a Diego Pignatelli e a un altro ex Merrill, Piero Novelli, è oggi tra le più in vista. Ubs, dove è appena approdato Pierpaolo Di Stefano lavora sul maggiore deal industriale del momento: loperazione Enel-Endesa. Anche in questo caso con Mediobanca: il team guidato da Nagel (con Maurizio Cereda al vertice del corporate finance), è sempre rimasto protagonista. «Restano i migliori anche con il passare degli anni», dice lad di una società del Mib30.
Loperazione-tempo non è riuscita a Lazard. Il divorzio da Braggiotti a Borghesi si è tradotto, per la boutique finanziaria guidata ora da Giancarlo Scotti, in un deficit di visibilità. Mentre sorti diverse hanno avuto i due ex partner: dalla Banca Leonardo di Braggiotti passano, al pari di Mediobanca e Intesa, tutti i maggiori dossier. Mentre Borghesi ha forse pagato lappoggio al fronte Fiorani-Ricucci di due anni fa, e con la sua Borghesi Colombo & associati sta riprendendo lentamente quota. La banca estera che più delle altre ha saputo confermarsi è invece Merrill Lynch.
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