Quei film che anticipavano i tempi con il sesso come filo conduttore

Da «Il Mare» a «Metti, una sera a cena» fino a «Divina creatura», ha diretto Orsini, la Bolkan e la Antonelli

Maurizio Cabona

Con Metti, una sera a cena (1969) Giuseppe Patroni Griffi segna l'epoca del cinema italiano dove i comportamenti sessuali passano dal rimosso al salotto. Il lubrìco vuoto degli arricchiti (interpretati da Florinda Bolkan, Jean-Louis Trintignant, Tony Musante, Lino Capolicchio) precorre il viscido vuoto del ceto medio, sostituzione e abiezione della borghesia, futuro «popolo dell'Iva», che non sa nemmeno più scimmiottare l'aristocrazia, perché è incredibilmente fiero di sé. Solo un episodio? Un noto dizionario dei film denigra l'opera cinematografica di Patroni Griffi e ci sarà chi gli crede. Se però «datato» è Metti, una sera a cena, è perché datato è l'ambiente che evoca. Datato, certo non estinto, visto che s'è diffuso come metastasi e imperversa ormai anche in provincia. E nelle tv: l'umanità raffigurata al vetriolo in Metti, una sera a cena è antesignana di quella dei reality.
Con Divina creatura (1975), tratto dal romanzo di Luciano Zùccoli, Patroni Griffi avrebbe non solo fatto un altro notevole incasso e valorizzato l'incanto fisico di Laura Antonelli, ma proposto un'evidenza che a certi dizionari dei film sfuggono. Chi ignorava la libertà di costumi quando pochi se la permettevano, ignora la dolcezza di vivere: conosce solo Foucault e la sua convinzione che anche il sesso sia politica.
Patroni Griffi non era meno gayo di Foucault, ma aveva un'altra sensibilità e con Il mare (1962), interpretato da Umberto Orsini, aveva affrontato gidianamente l'omosesso, senza intingerlo nel sociale, come stava facendo Pasolini.
La «parentela» di Patroni Griffi, caso mai, era Visconti, anche se non ne aveva la stessa abilità: non mandava infatti, come lui, le sceneggiature a Togliatti perché le approvasse; e neanche aveva la presunzione di invitare Berlinguer alle anteprime dei suoi film, come faceva Bertolucci, per poi stupirsi che Berlinguer restava perplesso.


In Addio, fratello crudele (1971) - ispirato al dramma cinquecentesco Peccato che sia una sgualdrina di John Ford - Patroni Griffi aveva rappresentato l'incesto tra fratelli, che Visconti aveva inscenato in Vaghe stelle dell'Orsa (1965) e Bertolucci avrebbe ripreso in Dreamers (2003). Basta confrontare questi tre film per cogliere quel che sfugge a certi dizionari: l'essere stato Patroni Griffi al di sopra - non al di sotto - del bene e del male.

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