«Quei fischi? Inaccettabili C’è pregiudizio ideologico»

I comuni del Nordest in rivolta contro la nascita di nuove moschee, i casi di cronaca che accendono i riflettori su un islam radicale e una cultura violenta, dall’altra parte l’accusa agli italiani di odio razziale. È questo lo scenario in cui è avvenuta ieri la visita ufficiale del ministro per le Politiche comunitarie Andrea Ronchi alla moschea di via Meda, a Milano, la prima di un rappresentante del governo in carica. Una visita dopo la quale anche a Bruxelles è esplosa una contestazione tutta anti-italiana sulle politiche per i rom.
Ancora polemiche accese sui rom in Europa. Avete nulla da rimproverarvi?
«Anche questa volta si tratta di una strumentalizzazione politica dettata dal pregiudizio ideologico. È inaccettabile. Noi ci siamo basati su una sola regola: il delinquente non ha passaporto».
Niente pregiudizi anti rom, quindi?
«Non vogliamo perseguire nessuna etnia. Vogliamo batterci per l’infanzia offesa e sfruttata».
E l’episodio del giovane di colore ucciso a Milano? C’è un clima di razzismo?
«Quello è stato un atto di violenza feroce. Mi auguro che gli autori restino in prigione a lungo. Ma anche dalla ricostruzione degli inquirenti pare che non ci sia stata matrice razzista».
L’incontro con la comunità islamica di via Meda è un modo per placare le critiche?
«È stato un modo per dimostrare che le istituzioni italiane sono vicine agli immigrati che amano l’Italia, che la riconoscono come loro patria, e che il governo è dalla parte degli islamici che considerano la religione un elemento di unione e non di divisione».
Clima sereno con l’imam Yahya Pallavicini. Ma lei nella stessa occasione ha puntato il dito contro l’Ucoii. Perché?
«Perché al dialogo interreligioso si lavora con le forze moderate impegnate a combattere l’estremismo. La Coreis (comunità religiosa islamica, ndr), di cui Pallavicini è vicepresidente, è fra queste. Non è così per l’Ucoii, vicino a un certo tipo di radicalismo, promotore di quell’ignobile pagina di giornale contro Israele».
Chi stabilisce il diritto di rappresentanza degli islamici? L’Ucoii di fatto ha un suo seguito.
«Il nostro non è un editto politico. Ricordiamoci che l’Ucoii si è autoescluso dalla Consulta islamica e si è rifiutato di firmare in quell’occasione la Carta dei valori. Noi vogliamo fare un lavoro culturale. Vogliamo dare il nostro sostegno a una "maggioranza invisibile" piuttosto che a una "minoranza visibile". E ieri ci siamo trovati d’accordo su molti punti con quegli islamici che accettano le nostre regole».
D’accordo, per esempio, sull’isolamento dell’Ucoii?
«Non ci può essere dialogo con chi nega il diritto all’esistenza di Israele. Io ho auspicato che non sorgano più moschee gestite dall’Ucoii, artefice del non-dialogo, e che le nuove che nascono siano fatte con regole chiare e gestite in modo trasparente».
Eppure il Nordest è in subbuglio per la nascita di nuovi centri islamici.
«Dobbiamo evitare costruzioni imponenti, inadeguate al bacino di fedeli che devono contenere e in qualche modo provocatorie nei confronti della popolazione locale. Ci vuole un impegno serio per la creazione di un registro di imam, che parlino italiano. La Coreis ha già annunciato corsi per uomini e donne imam».
Questo aiuterà la gente a vincere le resistenze anti-islam?
«I cittadini devono avere il diritto di pronunciarsi tramite referendum. È un modo per renderli partecipi di scelte importanti che avvengono sul territorio e di rendere questi insediamenti inclusivi invece che esclusivi. Basta coi blitz di amministratori incauti. Il nostro resta un Paese cattolico, non dimentichiamolo».
Un Paese che cambia. Le scuole si riempiono di bimbi di varie etnie e religioni.
«L’immigrazione è una risorsa.

Il problema non è di impedire l’immigrazione ma di rendere coerente l’integrazione».
L’impegno più immediato?
«Il rilancio della Consulta islamica e della Carta dei valori. Per riaprire ufficialmente il confronto tra islam e istituzioni».

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