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Quei genitori più pazzi dei loro «bambini» che giocano con la morte

Tredici i partecipanti al folle gioco di attraversare l’autostrada di corsa nelle curve, evitando di farsi travolgere dalle auto e dai camion che sopraggiungevano, filmando la scena con i telefonini, per poi caricare i video su youtube. Tredici anni l’età della maggior parte dei ragazzi, con qualche sedicenne di rinforzo, i maturi della compagnia. Tredici, forse, gli attraversamenti, prima che la polizia stradale - allertata dalle telefonate degli automobilisti impauriti che se li sono trovati davanti, in un caso riuscendo ad evitarli solo all’ultimo istante, rischiando un incidente contro il guardrail - potesse intervenire immediatamente.
Forse è vero che il tredici porta fortuna, visto che nessuno, miracolosamente, si è fatto nulla. E l’unica conseguenza per i tredici ragazzi che sabato nel tardo pomeriggio hanno sfidato la sorte nel tratto urbano dell’autostrada A7 Milano-Genova all’altezza di Bolzaneto, una delle delegazioni periferiche del capoluogo ligure, rischiano di essere le denunce per procurato allarme, attentato alla sicurezza dei trasporti e danneggiamento della recinzione dell’autostrada.
Ma, per l’appunto, siamo nell’ambito dei miracoli. Perché definire «autostrada» quel tratto di asfalto scelto dai ragazzi genovesi per il loro folle gioco, è un azzardo linguistico: ci troviamo di fronte a un susseguirsi continuo di curve e controcurve, che non lascia respiro ai guidatori. Quindi, chiaramente, il rischio della roulette russa dei tredici cresceva esponenzialmente.
Eppure, loro non se ne rendevano affatto conto: quando la polizia - chiamata dagli automobilisti terrorizzati, ma anche dai residenti nelle case che costeggiano l’autostrada increduli per quello che avevano davanti ai loro occhi - li ha trovati in un’ex casa cantoniera abbandonata a poche decine di metri dalla recinzione che avevano divelto per entrare sulla A7, prima hanno negato, poi hanno spiegato che volevano solo recuperare un pallone caduto in autostrada e solo alla fine hanno confessato: correvano, da soli o in coppia, da un guardrail all’altro all’avvicinarsi delle auto per poi mettere in rete il filmato. E c’è chi dice che il progetto successivo potessero essere due palleggi in autostrada.
Insomma, siamo nel campo dell’incoscienza pura, della follia di gruppo che - ribadisco per la terza volta, miracolosamente - non ha procurato vittime né fra i ragazzi, né fra gli automobilisti. Follia che, fra l’altro, fa seguito ad altre follie di cui sono stati protagonisti gruppi di ragazzini nella stessa zona: dal lancio di sassi attraverso la recinzione, emulazione orizzontale del lancio dai ponti di qualche anno fa, al getto di elettrodomestici inservibili, televisori e lavatrici in particolare, in mezzo alla carreggiata.
Fin qui, la notizia. E già sembrerebbe di aver raggiunto la vetta massima di follia ipotizzabile.
E invece. Invece, c’è di peggio. Ed è la reazione di alcuni dei genitori, avvertiti dalla polizia per prendere in custodia i rispettivi figli. Gli agenti della sottosezione autostradale della Polstrada di Sampierdarena, competente su quel tratto, hanno addirittura proceduto all’identificazione dei tredici sul posto, senza portarli in caserma, con una sensibilità rara che gli sciagurati non avrebbero nemmeno meritato.
In un paio di casi i figli sono stati (giustamente) presi a sberle; altri sono stati sollevati da terra verbalmente; qualcuno, ancora atterrito per quello che avrebbe potuto succedere, ha ringraziato gli agenti per aver salvato la vita dei ragazzi; ma altri padri e madri (padri? madri?) si sono invece scagliati contro gli agenti colpevoli di aver trattenuto e identificato i figli. Con parole che sono suonate pressappoco così: «Ma che bisogno c’era di mettere in piedi tutta questa cagnara, con la segnalazione alla Procura dei minori? Perché li avete identificati? Non bastava una romanzina?». Mancava solo la simpatica giustificazione: «Ma era solo un gioco», copia carbone di quella dei pargoletti, e il quadro sarebbe stato completo.
Parlano i fatti. C’è poco da aggiungere e c’è poco da commentare.

Se non che i nostri figli, spesso, sono lo specchio di quello che siamo noi. E che educare è un compito con più curve della A7 a Bolzaneto. Se lo si affronta pensando di trovarci di fronte a un rettilineo, i risultati sono questi.

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