Si legga, si ascolti questaffermazione: «Sono laico». E ora questaltra: «Sono ateo». La parola «laico» è entrata nel nostro vocabolario quotidiano con unampiezza di significati che ha ormai come sinonimi: «intelligente», «colto», «democratico». Insomma, le migliori qualità desiderabili.
Quei sinonimi non sono usati da persone che avrebbero mille giustificazioni per manifestare incertezze nella scelta del vocabolario italiano, ma da chi è, a sua volta, intelligente, colto, democratico, ecc. Se ne ha una prova immediata ascoltando il giornale radio Rai, in cui, da un po di giorni, un intervistatore chiede a illustri intellettuali chi siano i grandi personaggi laici da loro amati. Viene fuori di tutto. Ma non è lignoranza del significato di «laico» che sorprende, quanto la rimozione della parola «ateo». Una rimozione ipocrita, fatta in nome del politicamente corretto, tra laltro.
Lateo non crede in Dio, costruisce un proprio mondo senza Dio, i suoi valori non sono necessariamente contro la fede in Dio, ma essenzialmente indifferenti. Con la rimozione della parola «ateo», si nasconde la differenza tra la dimensione esistenziale del credente e quella di chi fa professione di ateismo, e si pensa che il piano di valori, di chi ha fede e di chi no, sia comunque compatibile. Questo non significa che ci debbano essere steccati assoluti e insormontabili, che non ci possa essere dialogo: proprio il contrario. Il dialogo è autentico quando si conoscono e non si confondono le differenze tra i dialoganti. Allora, in questa onestà, è inevitabile constatare che esistono anche principi non negoziabili, principi che chi non fa professione di ateismo non potrà mai mettere in discussione.
A cosa si assiste, invece, a cosa si sta affidando la nostra cultura, protetta da una profonda ambiguità politica? Alla condivisibilità, alla contiguità dei valori dellateo con quelli del credente. Ecco la confusione sulla legge 194, sulla questione della fecondazione assistita, su quelle dellingegneria genetica, della bioetica, che poi sono i veri problemi decisivi del presente e soprattutto del futuro dellumanità. La confusione culturale si serve senza scrupoli delluso disinvolto e improprio di laicismo e, appunto, della rimozione del concetto di ateismo.
Si pensi, a esempio, al senso di queste espressioni entrate ormai a vele spiegate nel nostro linguaggio politico e giuridico: «Membri laici del Consiglio Superiore della magistratura», oppure «giudice laico». Perché? Si risponde: sono membri laici quelli che non appartengono alla magistratura; si dice laico il giudice popolare della corte dAssise. Poi, si va oltre, e, ascoltando la radio, sentiamo che laico è la persona libera, intelligente, mentre chi non è laico, se non è cretino, ha quanto meno necessità di fare i conti con la storia. E allora facciamoli.
Il laico è il credente cristiano non appartenente allo stato ecclesiastico (contrapposto a chierico), e il laicismo afferma il principio dellautonomia delle attività umane, un principio universale che, pertanto, non può essere inteso soltanto come, per esempio, la rivendicazione dellautonomia dello Stato di fronte alla Chiesa, o, per meglio dire, al clero, poiché, come la storia insegna, è servito anche alla difesa dellattività religiosa contro quella politica, e ancora oggi è decisivo per garantire questa in molti Paesi. È, dunque, condizione di sopravvivenza di tutte le culture.
A questo punto domandiamoci se è plausibile, coerente, onesto fare professione di laicismo e sostenere che, sia che si creda nellesistenza di Dio, sia che non vi si creda, nulla cambia allinterno del proprio mondo di valori, non cambia il proprio modo di vedere la politica, la giustizia, perfino il significato della bellezza. Sostenere questo, è un falso culturale e unipocrisia esistenziale.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.