Quei soggetti privati dove conta la politica

Sostiene Bossi che «la gente ci chiede di prenderci le banche e noi lo faremo». Dove «noi» sta per Lega Nord. Cosa vuol dire? E, soprattutto, si può fare? La risposta è no: il sistema bancario italiano, dopo la stagione delle privatizzazioni degli anni Novanta, non è più strutturato in modo che la politica controlli le banche. Fino ad allora le banche erano pubbliche e i manager venivano nominati al ministero del Tesoro. Ora le società sono controllate da soci privati. E (almeno le maggiori) quotate in Borsa. Tuttavia il proposito bossiano non è pura propaganda leghista: dire che nelle banche la politica non c’entri nulla è un’altra favola. In realtà la zona d’ombra del sistema bancario esiste eccome: sono le fondazioni.
A questi soggetti fa riferimento la maggioranza relativa delle tre maggiori banche del Paese: Cariverona, Cr Torino, Carimonte, Banco Sicilia, CassaRoma hanno il 14% di Unicredit; Cariplo, Compagnia di San Paolo, CariBologna, Cr Padova e Rovigo, Cr Firenze il 26% di Intesa; Mps il 45% del Montepaschi. Oltre a quella di altre minori (come Carige, a Genova) e pure la maggioranza assoluta di molte casse con meno di 200 milioni di capitale. Le quasi 90 fondazioni oggi «ex bancarie», secondo l’intento di Giuliano Amato (l’ex premier socialista considerato il padre delle fondazioni), dovevano servire a smuovere la «foresta pietrificata» delle banche pubbliche e fornire stabilità al capitale delle aziende di credito, risultando un soggetto neutrale. In realtà si sono trasformate in istituzioni sociali molto attive, ed anomale: soggetti privati che amministrano enormi patrimoni di origine pubblica. Sono i più importanti attori del terzo settore (il «non profit»): utilizzano i dividendi della banca per le erogazioni nel proprio territorio di riferimento. E questa è la parola chiave, sulla quale fa leva il Bossi-pensiero: il territorio. Perché gli organi amministrativi delle Fondazioni (da cui dipendono le nomine dei manager in banca) sono designati dalle rappresentanze della politica e della società civile nel territorio di riferimento. In altri termini le fondazioni sono amministrate da chi viene indicato da Comuni, Province, Regioni per la parte pubblica; camere di commercio, sede vescovile, università per quella privata. La legge dice che la prima non può avere il predominio sulla seconda. Ma si ripensi al tentativo di Tremonti (proprio il superministro del Pdl più vicino alla Lega), che nella precedente legislatura berlusconiana tentò di assoggettare le fondazioni al suo ministero. Operazione bloccata, con la Consulta che sancì la natura privata degli enti.
Ma se la politica non può avere la maggioranza nelle fondazioni, di certo un’influenza pesante la può di certo svolgere. Non a caso i presidenti di alcune importanti fondazioni sono ex navigati leader politici. Si pensi a Giuseppe Guzzetti, numero uno in Cariplo, ex senatore e presidente della Lombardia per la Dc; o a Gabriello Mancini, presidente della Fondazione Mps, già segretario provinciale e consigliere regionale per lo scudocrociato; così come sono note le trentennali simpatie democristiane di Paolo Biasi, presidente della Cariverona. E di nuovo non è un caso che la ex Dc ricorra così frequentemente nelle fondazioni: proprio il partito che, ai tempi della foresta pietrificata, aveva saldamente in mano il pallino delle nomine bancarie.
È in questa chiave che Bossi vorrebbe far pesare la Lega, facendola diventare, almeno al nord, la futura Dc delle banche, pur nel sistema privato che vige oggi.

In questo senso, per esempio, l’elezione del governatore leghista Roberto Cota porterà alla Lega il diritto di designare un amministratore sia nella CrTorino, sia nella Compagnia di Sanpaolo. Ma la vera partita si giocherà in Lombardia alla Cariplo, dove l’intero consiglio è in scadenza nel 2012 e dove Guzzetti, a termini di Statuto non è rieleggibile per un terzo mandato di 6 anni.

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