La festa di Atreju ha spiazzato i giudizi di molti osservatori, in specie della sinistra, che si sono divisi tra due critiche paradossalmente opposte. La prima, "questa destra non ha cultura" è visibilmente frutto di acrimonia propagandistica e non vale la pena di dargli peso. La seconda, più rilevante, è che i valori esibiti dal partito di Meloni, "Dio, patria, famiglia" lo collocano in un universo estraneo al pensiero democratico. Magari affine al clericalismo reazionario o, addirittura, al nazionalismo mussoliniano. La contestazione è pungente: ma siamo sicuri che sia anche fondata? Non sembra.
Forse pochi se ne ricordano ma la prima formulazione della triade "Dio, patria, famiglia" la si deve a un democratico di nome Giuseppe Mazzini. Il pensatore genovese, protagonista del nostro Risorgimento, era animato da una visione romantica della storia e guardava con passione a quel cattolicesimo "umanitario" (che ispirò anche Manzoni e Gioberti) e che si opponeva a quello "reazionario" alla De Maistre. Entrambe queste correnti, nate in contrapposizione all'ateismo della Rivoluzione Francese, sostenevano che il dominus della Storia non fosse la Ragione ma Dio. Mentre però "i reazionari" si richiamavano alla Divina Provvidenza per comprimere la libertà degli uomini, al fine di restaurare l'ordine medievale, gli "umanitari", invece, pensavano che la Provvidenza alitasse nello spirito di ogni singolo essere umano che, per questo, doveva rimanere libero. Essi sognavano un modello di rivoluzione diverso da quello francese ed eleggevano a simbolo la Costituzione americana di Filadelfia, la quale, come si sa, scrive appunto di trarre ispirazione dalla Divina Provvidenza. Ciò che permise a Mazzini (che in fondo è stato il nostro Thomas Jefferson) di dire: "Il giorno in cui la Democrazia avrà la forza di un partito religioso, avrà la vittoria: non prima". Forse che Mazzini e la Costituzione americana ipotizzavano uno Stato clericale? Ridicolo il solo pensarlo. L'obiettivo era piuttosto quello di dare alla patria una così grande "forza etica" da far diventare la democrazia e le sue regole una vera e propria "religione civile".
Se Sergio Mattarella, sulla falsariga dei presidenti americani (democratici, repubblicani o trumpiani che siano) concludesse i suoi discorsi dicendo "Dio benedica l'Italia" susciterebbe solo ironia. Purtroppo, o per fortuna, viviamo in un'altra dimensione. Ma anche qui: siamo sicuri che l'Italia e l'Europa non abbiano qualcosa da imparare dalla costituzione americana? Non è forse vero che rinunciare a rivendicare le proprie radici giudaico-cristiane ha reso balbettante l'identità europea? Da noi la religione cristiana che, essendo fondata sul libero arbitrio, ha indubitabilmente contribuito all'edificazione delle nostre democrazie, è stata di fatto ormai relegata a un puro fatto privato e personale. E di conseguenza neutralizzata, se non ostracizzata, nel discorso pubblico (nel quale viene invece pretesa la "tutela" di quella islamica). Ma come non accorgersi che una rilevante porzione di italiani si rifiuta di vedere così reciso ogni legame con la propria storica identità?
Ma veniamo al valore della "patria". Oggi è senz'altro più agevole difenderlo. Nei primi anni Duemila, infatti, le incisive presidenze di Ciampi e Napolitano hanno "riabilitato" una parola che, assieme a quella di nazione, era stata espulsa (proprio dalla sinistra intellettuale) dal lessico italiano. Così Ciampi il 31 dicembre del 2005: "Siamo eredi di un antico patrimonio di valori cristiani e umanistici, fondamento della nostra identità nazionale".
In definitiva, a ben vedere, si può dire che solo la terza parte della triade di valori cui si ispira la Meloni, la famiglia, possa effettivamente essere argomento di plausibile contestazione. I conservatori, infatti, continuano a considerare la famiglia come la prima cellula della nazione. I progressisti invece no, arrivando esplicitamente a sposare le teorie gender di superamento della genitorialità.
In conclusione: almeno per ciò che riguarda i concetti di democrazia come "religione civile" e di "patria" sarebbe il caso che anche la sinistra riconoscesse con onestà che essi non rappresentano affatto una "pericolosa" deriva
ideologica ma fanno pienamente parte dell'identità europea. E che, come tali, andrebbero difesi attivamente da tutte le culture politiche. Soprattutto in un tempo nel quale il destino dell'Occidente è tornato a farsi incerto.