Quel bagno di folla tra gazebo e slogan E sale sul predellino

MilanoPresente. Come promesso. Puntuale. Come sempre. Sono le 9.45 quando Silvio Berlusconi a bordo di un’Audi nera blindata, accompagnato dalle auto di scorta, si infila, deliberatamente nella pancia della balena, ovvero nel palazzo di giustizia di Milano, dall’ingresso laterale di via Freguglia. Udienza preliminare a porte chiuse del processo Mediatrade (che lo vede imputato per frode fiscale e appropriazione indebita in relazione alla compravendita dei diritti tv). Blindato il tribunale, sprangato il piano settimo, che da lì a pochi minuti lo accoglierà, oscurati i vetri che si affacciano sull’aula 9, per tenere lontani anche i teleobiettivi e, non si sa mai, anche i giornalisti acrobati.
E, tutt’intorno, un cordone di carabinieri e polizia in tenuta anti-sommossa. Anche se le urla che partono e si odono, all’arrivo del premier, sono soltanto il primo dei mille cori d’affetto e di solidarietà che i sostenitori del Pdl, assiepati attorno al loro gazebo, cercano di fargli arrivare con tutto il fiato che hanno in gola. Certo, tra slogan contro «la giustizia politica che uccide la libertà», e le prove tecniche di santificazione di Silvio, quando viene intonato: «Resta con noi, non ci lasciar...» che poi sarebbe il più classico dei canti d’Eucaristia, c’è anche chi non gradisce.
Sono, sul marciapiede opposto, gli aficionados, per la verità un po’ pochini, dell’Idv di Di Pietro, che pure ci provano a far sentire la loro voce. Con i soliti originalissimi coretti, per esempio: «Dimettiti» e ancora: «Dimettiti». Si registra qualche momento di tensione, vola qualche spintone ma poi il gruppo striminzito dei dipietrini e quello foltissimo dei supporter di Silvio restano sui loro marciapiedi e aspettano. Certi, entrambi di essere dalla parte giusta, ovviamente.
C’è da dire che, come si conviene nelle migliori occasioni, il Cavaliere prima di giungere a palazzo di giustizia ieri aveva regalato di prima mattina un’anteprima delle sue opinioni a Maurizio Belpietro nella pubblica «Telefonata» di Canale 5. Ecco in estrema sintesi il suo pensiero: «Il processo Mediatrade rientra, come gli altri, in un tentativo che viene fatto per cercare di eliminare il maggiore ostacolo che la sinistra ha nella conquista del potere. Sono accuse infondate e ridicole. Le mie convocazioni in tribunale sono la conseguenza di quella incredibile sentenza della Corte Costituzionale che ha deciso che soltanto in Italia un presidente del Consiglio possa essere sottoposto a processo, distogliendo la sua attenzione dall’incarico e dalla funzione pubblica. In tutti gli altri Paesi i processi si sospendono fino al termine dell’incarico. D’altra parte - ha proseguito il premier - bisogna continuare a tenere sotto una spada di Damocle giudiziaria e mediatica il nemico ideologico e politico che è Silvio Berlusconi. Purtroppo il comunismo in Italia non si è mai arreso e non è mai cambiato, c’è ancora chi usa il codice penale come uno strumento di lotta ideologica e pensa che la parte politicizzata della magistratura possa usare qualsiasi mezzo per annientare l’avversario che è vittorioso nelle elezioni e forte nel consenso popolare». E, per concludere, la più amara delle constatazioni: «Io sono l’uomo più imputato dell’universo e della storia perché con quella di stamattina sono state 2.565 le udienze contro di me e contro il mio gruppo. Quindi sono più di mille i magistrati che si sono occupati di me senza aver mai conseguito alcun successo e che continuano, sapendo bene di non poter arrivare a una condanna, ma mettendomi sui giornali di tutto il mondo, gettando fango su di me e sulle mie aziende e naturalmente facendomi perdere un mare di tempo e un mare di soldi».
Sono le 11.46 quando «Super Silvio» come lo chiama, trepidante, dal gazebo del Pdl la simpatica e minuta suor Anna (che poi si farà fotografare anche con il sottosegretario Santanchè) si riaffaccia e decide di fermarsi per qualche minuto davanti al gazebo dei suoi supporter. È un bagno di folla. Che innesca applausi, slogan e cori di affetto e di solidarietà. Il Cavaliere sale sul predellino dell’auto e, mentre uno dei suoi body guard si affretta a proteggergli le spalle con una borsa blindata, lui, dispensando sorrisi e grazie, distilla ai suo fan poche ma sentite parole: «Oggi è andata bene, sarò in aula alle prossime udienze». Pochi minuti e poi via.
Il popolo dei fedelissimi, che gli aveva preparato un microfono e una postazione d’onore per un bel comizio, resta un po’ deluso ma accetta il no imposto dagli uomini della sicurezza.

Si sbraccia per salutarlo Maria Grazia Piracci, che dal 23 febbraio non ha saltato un giorno di servizio al gazebo davanti al palazzo di giustizia: «Silvio è una persona per bene. Non possono continuarlo a perseguitarlo così. Io lo ricordo nelle mie preghiere, ogni mattina. Perché lui deve resistere. Non può darla vinta a chi, con ogni mezzo, cerca di eliminarlo».

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