Quel calcio in bianconero meno satellitare ma più Carino

Tutta colpa di Custantin’e. Fu lui, il presidente con i calzini rossi, a comprare Borislav e Mustafà e fin qui non ci sarebbe stato problema di pronunzia. Però, mannaggia, Borislav portava il cognome di Cvetkovic e Mustafà si chiamava e si chiama Arslanovic. Era questo il tormento domenicale che affliggeva Tonino, una involontaria dislalia che scivolava sulla “cv” e sulle prime tre lettere di Arslanovic, provocando il sorriso degli astanti tifosi alle sue spalle, nella tribuna dello stadio Del Duca, e dei telespettatori della domenica pomeriggio, non ancora frastornati dalle multidirette. Chiamandosi pure lui in modo curioso, cioè Carino, era automatico oggetto di ironie, battute, imitazioni, allusioni, insomma bastava dire in una parola sola, di un fiato, ToninoCarinodaAscoli e già si prevedeva il resto, pure quell’affabulare ogni tanto sollevandosi sulla punta dei piedi, quasi saltellando per meglio mostrarsi alla telecamera nel tentativo si slanciare un’altezza non proprio statuaria. Era un football diverso da quello “straordinerio, intenso, aggressivo” degli spacciatori di enfasi contemporanei.
Tonino era tale nel diminutivo, era la voce di una terra antica e dolce, di un calcio che ogni tanto faceva marameo alle grandi metropoli: «voi avete il planning e noi vinciamo 1 a 0» disse Custantin’e Rozzi vincitore ad Ariedo Braida che annunciava la mission rossonera. Carino e Rozzi, cioè Ascoli senza aggiungere Piceno, una fetta delle nostre antiche passioni domenicali, come Necco e Boscione, Vasino e Gard, Giannini e Bubba, figurine di un album finito in soffitta, stracciato dalle belle gioie satellitari e/o digitali.
Carino ebbe l’intelligenza di accettare le battute di ogni tipo salvo quelle cattive; così riprese Abatantuono che in un’imitazione grottesca aveva superato il limite, e invece rise e rideva di gusto vedendo e ascoltando Ezio Greggio che poneva il quesito amletico con spirito cialtrone: «È lui o non è lui Tonino Carino da Ascoli?». Aveva scoperto un anno fa che il suo Novantesimo minuto stava per scadere, il solito bastardo gli aveva tolto il piacere della vita normale, che fu la sua.

Facile scrivere queste parole oggi che Tonino ha abbandonato il campo di gioco. In verità la sua bonomia e la sua semplicità appartenevano a un tempo che non recuperiamo più. Restano i fotogrammi della memoria, da qualche parte anche Cvetkovic starà piangendo.

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